Quando qualcuno dice “Io credo che esiste Dio”, abbiamo l’impressione che abbia detto qualcosa. Dunque, che cosa ha detto? Per quanto riguarda credere, come abbiamo ricordato in queste stesse pagine, il verbo è usato appositamente in un modo ambiguo, che non permette di sapere se chi lo pronuncia accetterebbe la parafrasi “senza alcun dubbio Dio esiste”, oppure “sono sicuro”, o “forse esiste Dio”, oppure “mi piacerebbe se esistesse Dio”, eccetera.
Quanto a Dio, per sapere che cosa è stato detto dovrei sapere che cosa è “Dio”, ma davvero non lo so. Nessuno lo sa. L’idea di Dio è irrappresentabile. Si comprehendere potuisti, aliud pro Deo comprehendisti (Agostino di Ippona): se ti sembra di capirlo, non è Dio. E dunque le persone, quando dicono “io credo in Dio”, non sanno che cosa stanno dicendo.
A dire la verità, se chiedete a quelli che usano senza imbarazzo la parola Dio, loro qualche cosa su “Dio” ve la sanno dire. È l’Essere eterno, perfettissimo, onnipotente, onnisciente, infinitamente buono, uno e trino, ecc. Queste caratteristiche distinguono “Dio” da qualsiasi cosa di cui abbiamo esperienza: niente e nessuno è così. Però sapere che “Dio” non è come niente che conosciamo non basta per sapere che cosa potrebbe essere; anzi.
Infatti tipicamente i citati attributi sono incomprensibili. Eterno: si può usare questa parola, ma davvero capiamo che cosa vi corrisponda nella realtà? Meno ci si prova, e più sembra facile; ma se ci si concentra un momento, e si cerca di immaginare un tempo infinito, ci si accorge che l’eternità non si lascia concepire. E ancor meno l’esistere senza essere mai stato causato da nulla, che ne deriva necessariamente. Niente di ciò che conosciamo si mostra eterno e incausato, quindi dire che “Dio” lo è significa dire che “Dio” non è come le cose di cui sappiamo che esistono. Onnipotente: significa potere tutto. Ma un essere onnipotente ha potere sulla logica? Può far sì che A sia non-A? Può piegare la matematica a far sì che 2 + 2 non faccia 4? E modificare il passato? Può far sì che non sia mai avvenuto un evento, quando è già avvenuto? Uno e trino: è facilissimo dirlo, cioè è facilissimo usare i polmoni, la bocca e la lingua per pronunciare i suoni: dioèunoetrino, ma è impossibile sapere che cosa significhi. Ciascuna delle tre parti coinciderebbe senza residui con il tutto: questo è così assurdo da essere inconcepibile.
I processi di formazione della lingua permettono di creare queste parole, ma ciò non deve trarci in inganno: non è affatto detto che tutte le parole abbiano un significato comprensibile. Il permesso di introdurre una parola nella lingua non viene dal fatto che essa abbia davvero un senso compiuto, né dal fatto che ciò che designa esista davvero. La parola viene creata, e basta. È successo con flogisto, basilisco, Pallade Athena, Batman, i marziani, le convergenze parallele, la telepatia, e innumerevoli altre. Molte di queste esistono nella lingua proprio perché sono state coniate per parlare di “Dio”. Insomma, per la parola Dio la verità è che quando la sentiamo pronunciare da qualcuno, nessuno (nemmeno lui) può sapere che cosa intenda.
Ma ciascuno ha comunque una vaga idea, o per lo meno delle sensazioni, associate alla frase io credo che esiste Dio. Data l’estrema vaghezza di queste sensazioni, non è possibile confrontarle in maniera accurata con quelle degli altri. E forse è per questo che nessuno ci tiene a confrontarle. Mi rivolgo ai credenti: chissà quante volte vi è stato chiesto tu credi in Dio?. Su tutte quelle in cui avete risposto sì, quante volte vi è stato chiesto: e che cosa intendi con Dio?. Tipicamente chi fa la domanda si accontenta che la risposta sia sì, e non gli interessa se con Dio intendete davvero qualcosa di simile a ciò che intende lui. Questo atteggiamento così diffuso ha una causa precisa. Poiché è impossibile accordarsi sulla identità di significato, ciò che accomuna tutti coloro che dicono “credo in Dio” non è tanto il contenuto, ma la forma. Indipendentemente dal significato, la forma è simile. E ha un altro vantaggio: è perfettamente osservabile, sta sotto gli occhi e nelle orecchie di tutti. Ecco perché, quando la risposta è “sì”, si vede l’altro completamente appagato. In realtà non vuole sapere che cosa intendete con “Dio”, né (per quanto riguarda il verbo credere) di che natura sia realmente la vostra adesione a quell’idea: gli basta sapere che voi pronunciate la frase. Appena la pronunciate la riconosce, sa che è la stessa frase che pronuncia lui, evita di chiedersi (o di chiedervi) se ha lo stesso significato, e va via contento annoverandovi tra quelli come lui. Questo è il punto.
Insomma, quando qualcuno dice di credere in “Dio” non sta davvero parlando di qualcosa, ma fa una dichiarazione di appartenenza a un gruppo. Del tutto indipendentemente dal significato che in quel momento possono assumere dentro di lui quelle parole, si colloca fra coloro che pronunciano quella frase. Non è di quelli che dicono: “io non credo in Dio”, e nemmeno di quelli che dicono “io credo in Allah e in Maometto suo profeta”. È di quelli che “credono in Dio”. È della nostra stessa squadra. Questo rassicura il credente; e per non mettere a rischio questa rassicurazione, è meglio non essere troppo pignoli su che cosa “Dio” effettivamente sia.
Articolo originariamente pubblicato su MicroMega