A partire da alcuni lavori di Gottlob Frege e di Bertrand Russell, sappiamo che usando l’articolo determinativo si dà ad intendere che il ricevente conosce già, e può identificare, la cosa designata. Russell animò una discussione di grande importanza con Peter Frederick Strawson per stabilire se il seguente enunciato sia o no falso, quando la Francia è una repubblica:
(1) L’attuale re di Francia è calvo
A tutta prima, saremmo tentati di dire che (1) è falso; ma non è così semplice. Infatti, la negazione di un enunciato falso è un enunciato vero: se dico che Roma è in Germania, questo enunciato è davvero falso, e la prova è che la sua negazione è vera: Roma non è in Germania. Mentre la negazione di (1) non pare più vera della sua versione positiva:
(2) L’attuale re di Francia non è calvo
L’enunciato (2) sembra soffrire dello stesso problema di verità di (1), il che indusse Strawson e diversi altri studiosi (al contrario di Russell) a decidere che nessuno dei due enunciati era falso, ma entrambi erano infelici. La spiegazione è che questi enunciati non asseriscono l’esistenza di un attuale re di Francia: se lo facessero, sarebbero falsi:
(3) Esiste un attuale re di Francia
A differenza di (3), usando l’articolo determinativo gli enunciati (1) e (2) presuppongono che esista il re di Francia: fanno finta che i destinatari siano al corrente della sua esistenza e lo possano identificare. Insomma, asseriscono la calvizie di qualcuno, di cui però non asseriscono l’esistenza: l’esistenza del re di Francia costituisce piuttosto una condizione di appropriatezza dell’enunciato. Quindi siamo appropriati se diciamo il sole, il papa, il governo, la finanziaria, perché i nostri interlocutori sanno che queste cose esistono e possono identificarle. Inversamente, è un po’ troppo sbrigativo dire ho incontrato il ragazzo che esce con tua figlia, se il nostro interlocutore non sa che sua figlia esce con un ragazzo; e sarebbe più rispettoso dire: ho incontrato un ragazzo che esce con tua figlia, con l’articolo indeterminativo, quindi presentando quel ragazzo come informazione nuova, e senza presupporne l’esistenza.
A partire da Russell, i sintagmi nominali con l’articolo determinativo (definite article) si chiamano descrizioni definite (definite descriptions), e la loro proprietà di presupporre l’esistenza del loro referente è stata molto studiata. Delle definite descriptions non fanno parte solo i sintagmi con articolo determinativo, ma anche quelli con un dimostrativo: questo problema, quel rinoceronte presentano i loro referenti come entità che il destinatario conosce e può identificare, a differenza di un (certo) problema o qualche rinoceronte. E ne fanno parte i nomi propri: dicendo Giorgio, si dà a intendere che i nostri interlocutori dovrebbero sapere di chi si tratta: Giorgio mi ha regalato questa cravatta è poco appropriato se la persona con cui sto parlando non è al corrente dell’esistenza di Giorgio.
Insomma, le descrizioni definite presuppongono l’esistenza dei loro referenti, e attribuiscono all’interlocutore un previo accordo su di essa. Un effetto importante è che sono molto adatte a persuadere di essa. Si osservi questa pubblicità di un formaggetto dietetico:
Come sanno gli addetti ai lavori, il successo di un prodotto dietetico non dipende dal convincere del fatto banale che è povero di grassi, ma dal persuadere il target che il prodotto, benché dietetico, sia gradevole. Qui l’informazione sul 7% di grassi è solo il pretesto per usare la descrizione definita la freschezza di Jocca, cioè per presupporre che questa proprietà positiva esista e sia nota a tutti. Se la pubblicità dicesse: Jocca comunica una sensazione di freschezza!, la reazione dei potenziali acquirenti sarebbe di esaminarla criticamente e di ricordarsi che al paragone dei formaggi “veri” la sensazione prodotta da Jocca è poca cosa. Ma presentata in questa forma la freschezza di Jocca assurge a proprietà ben nota a tutti, che non occorre verificare, e che quindi si installa nella mente del target senza che questi la discuta. Insomma: in realtà l’esistenza della “freschezza di Jocca” è tutta da dimostrare, ma questo passaggio viene agilmente saltato, presentandola già come presupposta. Senza passare per un vaglio critico, il mondo mentale dei destinatari finisce per diventare un mondo in cui esiste ed è nota a tutti “la freschezza di Jocca”. Moltissimi messaggi pubblicitari usano questo trucco.
In modo analogo funziona questo tweet diffuso dall’attuale papa il 10 gennaio 2014 alle 03:10:
La descrizione definita, La tenerezza di Dio, presuppone l’esistenza della tenerezza di Dio; e il nome proprio Dio presuppone l’esistenza… di “Dio”. A rigore, dare per scontata l’esistenza di queste cose non è correttissimo. Anche l’esistenza di “Dio”, come e più dell’esistenza della “freschezza di Jocca”, è tutta da dimostrare. Se è accettabilissimo che la si presenti come presupposta quando si parla fra persone che ne sono già convinte, lo è molto meno se il messaggio si rivolge anche a chi non ci crede. E infatti un senso di fastidio che provano i non credenti quando sentono parlare i credenti è dovuto proprio a questo: alla disinvoltura con cui, usando continuamente descrizioni definite, viene da essi data per scontata l’esistenza di cose improbabili come “Dio”, “l’Inferno”, “il Paradiso”, “il Purgatorio”, “lo Spirito Santo”, “il Mistero della Resurrezione”, “il Miracolo della Transustanziazione”, “l’immensa misericordia del Signore”.
Un atteggiamento onesto sarebbe dire “la cosiddetta Transustanziazione”, oppure “la presunta misericordia del Signore”, perché l’esistenza di queste cose è dubbia, e presupporla come se tutti fossero d’accordo è una sottile forma di prepotenza. E invece ogni giorno da chi “crede” sentiamo dirigere ai quattro venti “l’amore di Dio per tutti gli uomini”, “L’attenzione di Gesù per noi, sue pecorelle”, “il Giudizio Universale”, “il Peccato originale”, ma anche peggio, “il Peccato” tout court.
Come se tutti noi fossimo convinti che queste cose stiano nella realtà.
Articolo originariamente pubblicato su MicroMega