Chiedono diversi lettori se sia sbagliato usare il verbo realizzare nel senso di ‘capire, accorgersi, rendersi conto’, di cui correttamente ravvisano l’origine inglese.
Il verbo realizzare è derivato dell’aggettivo reale ‘che è; che appartiene alla realtà’, e quindi ha il significato primario di ‘rendere reale’, proprio come elasticizzare significa ‘rendere elastico’ e nazionalizzare significa ‘rendere nazionale’. Questo senso primario e generale determina quelli più specifici e particolari:
- ‘Far esistere’: realizzare un canestro in vimini, realizzare una nuova trasmissione; e quindi al riflessivo ‘diventare reale’, come in i tuoi sogni si realizzeranno.
- ‘Portare a termine, mettere a segno’: realizzare un gol, un guadagno (anche usato assolutamente, con lo stesso senso: vendiamo a questo prezzo perché abbiamo urgenza di realizzare).
- Al riflessivo, ‘esprimere pienamente la propria natura e le proprie aspirazioni’: io nel lavoro mi realizzo.
Come si vede, una certa flessibilità caratterizza il senso di questo verbo indipendentemente da influssi stranieri. Ma si tenga conto che il termine stesso ha origine straniera, perché formato all’inizio del XVIII secolo sul francese réaliser, come pure il derivato realizzazione, da réalisation. In inglese l’omologo to realise (nell’ortografia americana realize) ha appunto sviluppato l’ulteriore senso traslato di ‘rendere reale nella propria mente’, cioè ‘accorgersi che qualcosa è reale’. Di qui il calco semantico di cui parlano i lettori: realizzo che non mi ami più, devi realizzare che ci vuole più impegno da parte tua. Bruno Migliorini (in Lingua contemporanea, Firenze, Sansoni, 1938, p. 194) avverte che anche questo significato è passato attraverso il francese: “realizzare non più solo nel senso di ‘effettuare’ ma in quello inglese di ‘rendersi conto di’, importato sul continente dai romanzi di Bourget, e ormai diffuso largamente in Francia e da alcuni anni anche in Italia”.
Si deve riflettere che il passaggio dal senso concreto a quello mentale è comune e spesso necessario perché il lessico possa esprimere anche questo secondo ambito di realtà. Solo per fare un esempio, del resto più importante di quello che stiamo trattando, gli usi del verbo vedere non si limitano al senso di ‘percepire attraverso gli occhi’, ma si estendono a vari tipi meno fisici di presa di coscienza: non vedo i vantaggi di questa politica fiscale; vediamo un po’: chi si offre volontario?; ti ci vedo proprio, a preparare un esame in cinque giorni; non vedo l’ora di arrivare; prima di investire i miei soldi preferirei vederci chiaro; e così via. Nell’uso quotidiano questi sensi traslati di vedere non sono meno frequenti di quello letterale.
Per realizzare, il senso traslato e ricalcato su quello inglese è adoperato da tempo senza timidezze nello scritto giornalistico: “Quando ha tagliato il traguardo, ha dovuto attendere qualche secondo per realizzare che era sul podio”, “gli scienziati non realizzarono che stava per avvenire una grande eruzione vulcanica sottomarina se non poche ore prima” (“La Stampa”, 1992); e del resto non ne mancano ormai le attestazioni letterarie: “d’improvviso, realizzai ch’egli aveva voluto darmi un dispiacere” (V. Pratolini, La costanza della ragione); “a un tratto realizzò che se ne stava con gli occhi inserrati, sul punto di mettersi a fare ronron come un gatto” (A. Camilleri, La gita a Tindari); “Stavo chiedendomi a quale guitto avessi dato ospitalità nei giorni precedenti quando ho realizzato che anch’io ero mascherato, poiché i baffi e la barba che portavo non erano miei” (U. Eco, Il cimitero di Praga); “Ci mise qualche secondo a realizzare che quella cosa scura che si muoveva lentamente davanti al suo naso era l’indice della mano di suo padre.” (N. Ammaniti, Come Dio comanda).
Insomma, l’uso di realizzare nel senso di ‘rendersi conto’ non è sbagliato. La prima importazione di questo verbo dal francese all’inizio del XVIII secolo causò ostilità che poi furono superate, tanto che oggi nessuno mette in discussione che faccia parte dell’italiano. Allo stesso modo, si può dire che il suo senso traslato giunto dall’inglese (sempre attraverso il francese) abbia ormai arricchito le possibilità della nostra lingua.
Articolo originariamente pubblicato dall’Accademia della Crusca