Secondo l’insegnamento ricevuto a scuola da alcuni lettori, l’espressione fare il/un bagno sarebbe sbagliata, mentre sarebbe giusto dire prendere il/un bagno, come si legge anche in avvisi ufficiali – solitamente inviti alla prudenza – delle capitanerie di porto. Ci si chiede dunque se l’espressione più semplice, con fare, sia dialettale o comunque davvero scorretta.

Accade non di rado che la scuola si schieri a favore di forme ricercate, confondendo la naturalezza della lingua parlata in un unico fascio con i comportamenti errati. Per fare un altro esempio, questo è il caso – fortunatamente raro – dell’insegnante preoccupato che, trovando troppo semplice e vicina al parlato un’espressione come sono andato a scuola, la corregga negli elaborati dei suoi studenti con un più ricercato, ma soprattutto più ingessato e burocratico mi sono recato. Insomma, una insicurezza di fondo su che cosa sia vero errore porta ad arroccarsi in difesa di comportamenti linguistici lontani dall’esperienza comune, e per questo ritenuti più garantiti dal rischio di riflettere qualche forma di ignoranza. Ma ciò che è comune nell’uso dei meno colti non è di necessità errato. E, al pari di andare a scuola, va benissimo fare un bagno (o fare il bagno, e anche fare la doccia; nel parlato il verbo è spesso usato anche nella forma riflessiva: farsi il bagno e farsi la doccia). Il più ricercato prendere un bagno (che ad es. il Tommaseo-Bellini segnala come meno proprio e ricalcato sul francese, dove prendre un bain è l’espressione normale) non è affatto sbagliato, ma talora, soprattutto se adoperato in contesti informali, può anche tradire una certa affettazione, o appunto una non necessaria preoccupazione di essere trovati in errore.

La piena accettabilità dell’espressione meno ricercata trova conferma nei seguenti dati. In un corpus di dieci annate recenti (1992-2001) del quotidiano “La Stampa”, si trovano due casi di prendere un bagno, una volta prendere un bel bagno e una volta prendere il bagno. Invece fare il bagno compare centinaia di volte. Nel corpus web RIDIRE la diversità di frequenza è ancora più netta. Nella LIZ – Letteratura Italiana Zanichelli una ricerca automatica rivela che negli autori letterari di ogni epoca a fronte di decine di casi di fare il/un bagno si trova solo tre volte prendere un bagno (mai il bagno). I tre passi sono i seguenti: “Quelli che erano giunti nella prima settimana di luglio e contavano di restare sino alla fine di agosto, dopo aver potuto prendere un bagno sopra cinque, affrontando il mare in collera, intimiditi e scoraggiati, avevano finito per andarsene” (Matilde Serao); “Ella si alza alle dieci o alle dieci e mezzo; prende un bagno di cui i profumi costano ciascun giorno otto o nove lire; e poi si mette allo specchio” (Giovanni Verga); “Ma sì, – seguitò Capolino. – Prendeva un bagno, ai Casotti. Non sa nuotare e, per prudenza, si teneva tra i pali del recinto, dove l’acqua, sì e no, gli arrivava al petto” (Luigi Pirandello).

A margine, osserviamo che prendere un bagno è talora usato anche in altro senso, figurato, per esprimere il concetto di ‘subire un rovescio, un danno o una sconfitta’, tipicamente ma non solo in campo elettorale: “In realtà nemmeno la destra punta alle urne, perché ha paura di prendere un bagno” (“La Stampa”).

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