Quando si parla di partiti di sinistra, in che senso si usa questa parola? Il PD, residuo del maggiore partito della sinistra italiana, in che senso è ancora di sinistra? E se non lo è più, perché? Un modo di riproporre questi interrogativi è il seguente: quella che molti chiamano la sinistra ha davvero abbandonato i poveri?
Non possiamo rispondere in modo organico a queste domande, ma una breve riflessione su ciò che è accaduto può forse servire a capire meglio in che senso parliamo di sinistra oggi in Italia.
Detto in modo brusco: non c’è dubbio che di recente il maggiore partito italiano godente fama di essere di sinistra ha abbandonato le cause tradizionali dei poveri, rivelandosi l’alleato del grande potere economico e di quelle élite su cui si è assai discusso in seguito a un intervento di Alessandro Baricco. L’artefice non unico ma più evidente di questa deriva è stato Matteo Renzi, che per tale motivo tutti quelli che sono davvero di sinistra hanno sempre avuto come il fumo negli occhi. Renzi ha realizzato la novità che – semplificando molto – a simpatizzare e votare per il leader del PD non erano più le persone di sinistra, ma gli stupidi di sinistra e gli intelligenti di destra. Questo perché bisognava essere stupidi per non accorgersi che Renzi non è di sinistra, e se si era intelligenti si capiva che era di destra.
Tuttavia non credo che questa narrazione esaurisca la storia di come si sono svolti i fatti. Io credo che la sinistra abbia abbandonato i poveri perché – prima – i poveri avevano abbandonato la sinistra.
Con il progressivo arricchimento medio degli italiani conseguito al boom economico e poi soprattutto con l’imperante ottimismo economico-aziendale iniziato negli anni 1980, insomma l’era dei manager rampanti che dominavano l’immaginario collettivo (vi ricordate di Mario Schimberni, oppure di Raul Gardini?), gli italiani poveri hanno cominciato a credere di poter diventare ricchi: non soltanto di smettere di essere poveri, ma proprio di diventare ricchi. Diventarlo almeno un po’: tutti quanti dei ricchetti. E mettersi a comprare continuamente nuove auto, ennesimi outfit, televisori per tutte le stanze della casa. Questa diffusa aspirazione ha costituito l’humus ideale per l’affermarsi di personaggi che un po’ esplicitamente, ma soprattutto implicitamente, promettevano il realizzarsi del sogno di diventare tutti ricchi; tutti dei ricchetti soddisfatti col SUV.
Naturalmente il principale di questi personaggi è stato Silvio Berlusconi, che ha la doppia responsabilità di avere incarnato politicamente tale genere di aspirazione al consumo e all’arricchimento (ottenuto se necessario frodando il fisco e violando regole essenziali della convivenza civile), ma ha la responsabilità ancora più grande di avere diffuso e affermato questa mentalità attraverso l’espansione pervasiva della televisione commerciale. In ogni caso, ribaltando una situazione secolare, Berlusconi ha fatto della destra italiana il principale riferimento politico delle persone socialmente svantaggiate, non più offrendogli ideali di lotta di classe e di giustizia sociale (il che era diventato più difficile per la sinistra dopo la caduta del comunismo reale), bensì proponendo e incarnando per la loro immaginazione il sogno di diventare continui compratori perché tutti ricchi, ciascuno per conto suo. Che questa illusione potesse poggiare solo su una grande diffusione dell’ignoranza, è ben noto. Come è noto che da Berlusconi in poi l’azione dei governi della Repubblica si è prevalentemente mostrata più amica dell’ignoranza che dell’istruzione. Mai come in Italia è stato sempre disatteso il lungimirante motto di spirito spesso attributo a un rettore di Harvard e poi valorizzato da Barack Obama: Se pensate che il sapere possa costarvi troppo, provate con l’ignoranza.
Il fenomeno del passaggio dei poveri dalla sinistra alla destra è stato avvertito da alcuni abbastanza presto, anche se invano; ad esempio, da Paolo Virzì, che in Caterina va in città, film uscito nel 2003, immagina questa conversazione in una classe di un liceo romano “bene”, che molti ricorderanno: un professore di lettere, stanco delle continue provocazioni fra il gruppo degli studenti di sinistra e il gruppo di quelli di destra, chiede ai ragazzi se davvero sanno che cosa significhino le parole estreme con cui si apostrofano a vicenda. Tocca a Mirko rispondere, perché la smetta di fare il buffone mettendo le corna da dietro al professore. Mirko, maglietta di tendenza, giacca della tuta da ginnastica e catena luccicante al collo, diventa serio e risponde con voce da interrogazione: “i comunisti sono quelli più ricchi, e laureati; invece i fascisti sono quelli più poveri e ignoranti”. Sommerso dalle proteste e dagli insulti delle ragazze parioline, si spiega: “a me mi pare che quelli di destra, al limite pure io ci sarei, sono quelli più… tipo la gente normale, che lavora; e invece i comunisti sono tutti tipo direttori, dottori, … registi… tutta la gente che non ha bisogno di lavorà”. Virzì, per bocca di Mirko, ci avvertiva che ormai la trasformazione era avvenuta.
Quindi, ricapitolando: nuove (transitorie) condizioni economiche molto promettenti e una narrazione luccicante sulle possibilità di arricchimento, favorita dalla grancassa interessata della televisione commerciale, hanno fatto di ciascun italiano di condizioni modeste qualcuno che, pur essendo ancora povero, si identificava non più in una politica di classe e di riscatto, ma proprio in una politica di destra, favorevole tipicamente al (piccolo o grande) imprenditore che egli non era, che non sarebbe mai diventato, ma che nella sua fantasia sognava di diventare. I poveri non hanno più voluto una politica favorevole ai poveri che erano, ma una politica favorevole ai piccoli ricchi che intendevano diventare.
Berlusconi ha dato a tutte queste persone una narrazione politica conforme all’immagine ideale di sé che si era formata nelle loro teste, e anzi ha contribuito a fabbricare e rafforzare quell’immagine, naturalmente nel suo esclusivo interesse.
Politicamente, il testimone di Berlusconi è stato raccolto da Matteo Renzi. Quando ci si domandava se Berlusconi sarebbe caduto per lo scandalo di Ruby e delle feste con ragazzine, in un’intervista televisiva constatavo amaramente che c’era poco da rallegrarsi, perché se Berlusconi fosse caduto per un motivo non politico, ciò avrebbe significato che il suo elettorato restava quello che era, e che quindi al suo posto ci saremmo trovati il personaggio disponibile che più gli somigliava. Questo è accaduto con l’ascesa di Matteo Renzi.
Renzi infatti è il tipico ragazzotto di Forza Italia, altrettanto tipicamente fattosi strada nelle file della Democrazia Cristiana; e ce lo siamo ritrovato nel PD solo perché, essendo cresciuto a Firenze ed essendo totalmente devoto del proprio successo, non poteva militare altro che nel partito con cui a Firenze da sempre si governa. Questa casualità anagrafica ha prodotto un infelice equivoco, facendo sì che tante persone di sinistra che non conoscevano bene la persona, e che identificavano il PD come partito di sinistra, inizialmente abbiano dato il loro appoggio a Renzi, più per i colori che alquanto casualmente portava, che non per la sua natura politica o, se si può ancora dir così nel suo caso, ideologica. A questi si sono aggiunti molti elettori che volevano ciò che aveva da offrirgli anche Berlusconi, ma che provenendo dalle file dei poveri tradizionali e non “convertiti” preferivano continuare a credere di votare a sinistra.
Questo ha finito di snaturare quello che era stato il grande partito italiano della sinistra. E forse non è un caso che il fenomeno di un partito di sinistra che per rincorrere la deriva a destra della sua platea si trasforma in una forza sostanzialmente di destra sia stato anticipato in realtà proprio nel periodo dei manager rampanti, e cioè dal partito socialista di Bettino Craxi, che a molti di noi era inviso per gli stessi motivi per cui lo è divenuto molto più tardi Matteo Renzi. Craxi trasformò profondamente il partito socialista di De Martino, lasciando di socialista quasi solo il nome, per rincorrere le nuove aspirazioni, in essenza consumistiche e imprenditoriali, di gran parte dei suoi elettori. La deriva del PSI craxiano ha rappresentato un’anticipazione della deriva del PD nel nuovo secolo.
Considerazioni di questo genere scagionerebbero in parte la sinistra, perché significherebbero che non è stata lei ad abbandonare i poveri, ma sono stati prima i poveri ad abbandonare lei. Una prova neanche troppo indiretta di questo potrebbe vedersi nel fatto che la sinistra più autentica, quella rappresentata da partiti di cui nessuno può mettere in dubbio che siano di sinistra, è praticamente sparita. Insomma, in Italia sono rimaste pochissime persone che davvero pensano a sinistra.
La sinistra politica, però, poteva reagire in tanti modi diversi, alcuni dei quali l’avrebbero mantenuta una sinistra anche di fatto oltre che di nome, e altri meno. Una cosa davvero di sinistra che avrebbe potuto fare, sarebbe stato affrontare la narrazione della destra berlusconiana con una narrazione inversa, che aiutasse i diretti interessati a capire quanto poco gli convenisse votare a destra, e quanto invece questo convenisse a coloro che manager, imprenditori e datori di lavoro lo erano già, e non solamente sognavano di diventarlo. Certo, non sarebbe stata un’impresa facile. Di fatto, per inseguire comunque la deriva ideale dell’elettorato, una parte (maggioritaria) di quella che era la sinistra politica italiana è diventata una specie di retroguardia annacquata del berlusconismo, corteggiando sempre di più le aspirazioni delle persone a consumare, a diventare ricche e a vivere in una società che favorisce i ricchi. Questo del tutto indipendentemente dal fatto che gli elettori di cui si tratta non erano affatto ricchi, ma soltanto ritenevano di diventarlo. Un’altra parte (minoritaria) della sinistra ha sdegnosamente disapprovato la deriva a destra dei suoi ex protetti, ma non ha fatto granché per aiutarli. Anzi, gli ha fatto sentire il suo altezzoso disprezzo.
La colpa della sinistra dunque è meno grave che se avesse “abbandonato i poveri”: ciò che avrebbe potuto fare e non ha fatto era cosa assai più difficile del semplice mantenersi di sinistra: infatti il mero restare a sinistra non serviva più a niente, perché appunto i poveri avevano cessato di avere aspirazioni di sinistra. Quello che la sinistra avrebbe dovuto fare (duole assumere posizioni paternaliste, ma è così) sarebbe stato aiutare i poveri a vedere la realtà, cioè interporsi fra essi e l’azione diseducatrice di Berlusconi, della sua televisione e della società dei manager rampanti nel suo insieme, per avvertirli che quelle erano bugie, e che le aspirazioni di sinistra restavano il modo migliore con cui produrre un progresso sociale e individuale per ciascuno di loro. Questa cosa difficile la sinistra non ha saputo farle, e anzi si è accodata a quella mentalità rampante del cavolo, oppure si è erta a giudice sopraffino ed inutile di tanta volgarità.
Ancora più concretamente, in che cosa avrebbe potuto consistere l’interporsi fra i pifferai del successo economico possibile e anzi facile, e le loro vittime? Che cosa avrebbe potuto aiutare le persone a capire che quell’ideale di arricchimento generale e di continui acquisti di oggetti non soltanto non era raggiungibile in proprio, ma non è neanche sostenibile sul piano sistemico, se si vuole continuare a vivere in un mondo sano? Per invertire il processo di sempre maggiore dipendenza dell’elettorato da questa e da ogni forma di retorica truffaldina, la sinistra quando ha governato (e lo ha fatto, nelle pause fra un Berlusconi e l’altro, invano) avrebbe potuto dare impulso all’aumento del tasso di istruzione delle persone. Prendere provvedimenti energici, veri, in favore della scuola, dell’università e della cultura, invece di posporle sistematicamente alle necessità dei grandi gruppi industriali e bancari.
Forse, si potrebbe dire, la cosa più di sinistra è l’istruzione.
La Germania negli stessi anni attraeva i bravi a diventare insegnanti di scuola pagandoli il doppio di noi, e investiva in istruzione una quota del suo PIL molto maggiore della nostra. Sia la Germania che l’Italia raccolgono oggi i frutti delle scelte di quell’epoca.
In ogni caso, dove la maggioranza degli elettori è abbastanza attrezzata intellettualmente e culturalmente, i pifferai non vincono le elezioni. Ne abbiamo avuto prove recenti, ad esempio, con il voto per le elezioni europee in Scandinavia, dove qualcuno preconizzava un trionfo dei partiti populisti, che non c’è stato; e si è visto che le popolazioni un po’ istruite non abboccano a esche come l’allarme immigrati, e si concentrano su temi reali come welfare, giustizia sociale e tutela dell’ambiente. Poi, naturalmente, con effetto virtuosamente circolare, dove non governano i pifferai ma personaggi che perseguono il bene pubblico, all’istruzione viene dato il ruolo di primo piano che occorre darle, anziché il ruolo di Cenerentola che riceve sistematicamente nelle scelte economiche dei governi italiani di ogni colore da almeno trent’anni. E così la capacità di discernimento degli elettori aumenta ancora.
Noi invece siamo stati per così tanto tempo il paese dei pifferai e dei circoli viziosi, che purtroppo non si vede più che cosa possa invertire la tendenza.
Articolo originariamente pubblicato su MicroMega