Sono pervenute all’Accademia domande su come si debba scrivere la parola stakeholder, se vi sia un equivalente italiano e se al plurale si debba aggiungere la -s. Un lettore chiede anche conferma dell’idea che la forma “più corretta” sia proprio quella plurale, visto che nella maggior parte dei casi gli stakeholder sono più di uno.
Stakeholder è chiunque sia portatore di interessi nei confronti di un’attività o di un progetto economico: chi cioè possa direttamente o indirettamente godere di benefici o subire danni da quell’attività. Il concetto venne applicato per la prima volta nel pensiero economico di ambiente statunitense nel 1963, e col tempo ha varcato l’oceano, conoscendo (probabilmente a partire dal 1987) un impiego marginale nell’italiano dell’economia, dove la sua vera affermazione è recentissima, tanto che ancora non tutti i dizionari lo hanno recepito. Ogni nuova parola di origine straniera può fare una breve apparizione e poi sparire, oppure acclimatarsi e diventare a pieno titolo un prestito dell’inglese all’italiano. La tendenza recente di stakeholder sembra andare in questa seconda direzione.
Non esistono singoli termini italiani perfettamente equivalenti, anche perché la nostra lingua non ha la stessa disponibilità a formare composti di cui gode l’inglese; la più breve traduzione letterale di stakeholder è un sintagma che ha anche lui una certa diffusione, fatto di tre parole: portatore di interessi.
Quanto al modo di scriverlo, a chi ci pone il quesito probabilmente non sfugge che le grafie visibilmente straniere sono ormai divenute abituali per i prestiti da altre lingue. Nel tredicesimo secolo era naturale che il francese roche venisse adattato foneticamente e graficamente in roccia; la forma tedesca del cinquecentesco Landsknecht è stata addomesticata in lanzichenecco; e ancora nella prima metà dell’800 l’inglese beef-steak appariva troppo alieno perché non si sentisse il bisogno di trasformarlo in bistecca; ma oggi l’accresciuta dimestichezza con le civiltà e le lingue di altri paesi fa sì che le parole straniere ci appaiano utilizzabili anche nella loro veste originaria. Quindi, stakeholder con k e h (anche se di fatto quest’ultima risulta spesso non pronunciata).
Sull’eventuale aggiunta della -s finale che caratterizza il plurale inglese, occorrerà seguire la regola che vale in generale per i termini di origine straniera. La morfologia dell’italiano prevede le forme del plurale solo per i nomi e gli aggettivi italiani, i quali terminano tutti in vocale. Non vi sono cioè, nella nostra lingua, gli strumenti morfologici per flettere parole terminanti in consonante; cui dunque al plurale non viene assegnata una forma diversa dal singolare. Perciò prestiti dal francese come mannequin o dépliant, dall’inglese come sport o computer, dal tedesco come alpenstock o diktat, dal russo come soviet o gulag, dal turco come harem o yogurt, al plurale rimangono identici. Questo si applica ai prestiti acclimatati, cioè alle parole di origine straniera che sono ormai diventate parole italiane; ma lo stesso non può valere per i termini di altre lingue che inframmezziamo a un discorso italiano, se sono rimasti termini stranieri. In questo caso si dovrà adoperare la forma del plurale prevista nella lingua di origine. Il problema dunque è quello di decidere se una parola sia semplicemente straniera o vada considerata ormai un prestito accettato dall’italiano. Fare plurali inglesi come sports, computers o films è goffo perché trascura che si tratta ormai di parole italiane, cui non compete di venir flesse secondo la morfologia inglese; ma volendo menzionare – ad esempio – i partiti politici americani o britannici con la loro denominazione d’origine, anche esprimendosi in italiano si parlerà dei democrats e dei republicans, dei whigs e dei tories, con la -s del plurale inglese.
Stakeholder sta ancora per così dire in mezzo al guado, e se negli ambienti economici e aziendali è ormai acclimatato a sufficienza per trattarlo come italiano e quindi invariabile, non se ne potrà condannare neanche l’uso con il plurale in -s, specie in quegli ambienti in cui sia tuttora sentito come parola decisamente straniera. Nello scritto, sarà dunque preferibile adottare il carattere corsivo nel caso in cui si aggiunga la -s (gli stakeholders), e il tondo se si opta per la forma invariabile (gli stakeholder).
Quanto alla possibile preferenza per la forma plurale, e quindi alla sua eventuale estensione anche al singolare (cui si riferisce un lettore), questa ricorda plurali come “un fans”, “una clips”, “un murales”, “un silos”, che si incontrano nell’uso di molti ma sono da censurare: il fatto che nella maggioranza dei casi in cui vengono menzionati i portatori di interessi siano più di uno non autorizza a dire “uno stakeholders” più di quanto la tendenza di quei frutti a presentarsi in gruppo non autorizzi a dire “una ciliegie”.
Articolo originariamente pubblicato dall’Accademia della Crusca