Molte volte sono andato in barca a vela. Quasi sempre ospite di amici o parenti appassionati, talvolta prendendo a noleggio una barca per iniziativa sempre di persone amiche. Si è trattato di esperienze diversissime, in varie parti del Mediterraneo e dell’Adriatico croato. Una cosa però le ha accomunate tutte: si andava a motore.
È naturale, le barche a vela hanno il motore, “per sicurezza”, perché non si sa mai. E siccome si è pigri, invece di solcare il mare azzurro manovrando continuamente per far sospingere la barca col vento in poppa o di bolina eccetera, si accende il motore e si va con quello, si attraversano i bracci di mare da un’isola all’altra, si visitano le calette, sempre con il provvido motore.
Naturalmente ci sono anche quelli che vanno a vela, perché fanno proprio le regate, e anche quando non le fanno sono così strenui e appassionati che si guadagnano il mare con le manovre del velista. Ma non sono la maggioranza. Quindi quando qualcuno mi dice: “ho fatto una vacanza in barca a vela”, io so che probabilmente è andato in barca a motore. Ma perché vale la pena di occuparsi di questa cosa?
Perché è utile accorgersi che ci sono diverse parole o espressioni che possono mentire, e mediante le quali mentiamo a noi stessi o agli altri, in modo più o meno accentuato. In fondo, almeno in molti casi l’amico che ti dice di essere stato in Croazia in barca a vela, si sta comportando come un pubblicitario che ti propina frasi come: “i dentisti consigliano Pippadent” o “Organizza le tue vacanze con Jattour, il più importante tour operator per il Mediterraneo”. C’è sempre almeno un po’ di vero: la barca è effettivamente “a vela”; almeno alcuni dentisti più amici consiglieranno di certo Pippadent; magari almeno per quanto riguarda la pratica dello snorkeling Jattour è davvero il più importante (qualunque cosa significhi) tour operator del Mediterraneo. Ma il fatto che ci sia una parte di vero è appunto il pretesto e il veicolo per raccontare qualcosa di diverso dalla realtà.
Un altro esempio, e poi chiudo perché il concetto è chiaro, è il termine agriturismo. All’inizio, quando è nata, la parola designava un’idea nuova: il turismo in luoghi campestri, dove la vacanza consisteva anche nel fare cose agresti e agricole (tipo coltivare l’orto annesso alla proprietà di cui si era ospiti, esplorare le forre circostanti). Però presto l’uso della parola ha virato; cioè sono cambiate le sue condizioni di utilizzo, e quindi continuamente si raggiungono degli agriturismi per… mangiare tanto e dormire. Insomma, andare in un agriturismo è diventato andare in un albergo situato nei pressi di vegetazione. Però il senso della parola è cambiato meno di ciò che finisce per designare; e continua a blandirci con la gratificante sensazione iniziale: come se uno invece di passare il weekend in un albergo facesse della sana attività contadina.
Siamo in una civiltà del continuo abbellimento, del continuo ritoccare la realtà. Negli esempi che stiamo facendo, è una pratica innocua; se non fosse che anche quando è innocua, anzi quando è innocua ancora di più, contribuisce a creare assuefazione. Non ci indigniamo quando qualcuno esagera e abbellisce, quindi mente; anzi, non ci domandiamo se qualcuno dice o no il vero: quello che conta è che ciò che dice suoni bene. Ad esempio, la Croazia in barca a vela suona meglio della Croazia in barca a motore; oppure, sentirci dire in televisione (da un guitto miliardario e geniale, ex critico dei potenti e ora loro alleato) che l’Italia è meglio di tutti gli altri paesi da tutti i punti di vista, suona meglio che fare autocritica. Se un presidente del consiglio riassume sommariamente tutti quelli che emettono giudizi rigorosi e fanno previsioni non rosee sotto l’appellativo spiritoso di “Gufi”, certo suona simpatico. Quando – riferendosi a sé e ai suoi collaboratori – afferma: “abbiamo dato la svolta necessaria all’economia italiana” e “noi abbiamo portato l’Italia fuori dalla crisi” , se gli crediamo il mondo ci si presenta sotto una veste migliore che dubitando di ciò che dice. Ma questo preferire sempre ciò che suona meglio fa sì, alla fine, che siamo governati come siamo governati.
Articolo originariamente pubblicato su MicroMega