“Il femminicidio non è un omicidio come gli altri”. Barbara Bonomi Romagnoli e Lorenzo Gasparrini replicano all’articolo “Femminicidio e violenza sulle donne” di Edoardo Lombardi Vallauri pubblicato su MicroMega. La risposta dell’autore: “Non distinguere fra ‘violenza tra partner nella coppia’ e ‘violenza dovuta a mentalità patriarcale e maschilista’ significa fare di ogni erba un fascio”.  

La lingua, si sa, batte dove il dente duole. E, più di noi, dovrebbe saperlo un linguista. Si fa molta fatica, ad esempio, a inserire nuove parole nel lessico comune quando fanno riferimento ad un universo culturale e sociale intriso di stereotipi e modelli di riferimento allergici al cambiamento. 

Il termine femminicidio, così tanto osteggiato per anni e finalmente in uso anche nei media mainstream, non significa semplicemente come ritiene il professor Edoardo Lombardi Vallauri “uccisione di femmina da parte di maschio” ma l’uccisione di una donna in quanto donna, magari perché rivendica spazi di autonomia e autodeterminazione e non certo perché è investita casualmente da un pirata della strada. Non è un omicidio come gli altri, femminicidio indica espressamente il movente, e non il fatto in sé. Non si possono mettere sullo stesso piano i numeri degli uomini ammazzati per motivi vari – e mai perché “uomini in quanto uomini” – con i numeri che riguardano i femminicidi, tanto più se la “violenza sulle donne” la si considera, dal punto di vista tecnico linguistico, un’espressione ad hoc. 

Così come “violenza sulle donne” non è solo “violenza sulle donne da parte di uomini” ma è la più estesa violenza maschile che indica tutta una serie di forme e livelli di violenza che si esprimono attraverso comportamenti e stereotipi di genere, ruoli sociali, discriminazioni, ineguaglianze e soprusi che le donne, tutte, possono subire, a volte anche da altre donne pregne di cultura maschilista. 

Per cui sì, gli uomini c’entrano, ma non perché subiscono più violenze generiche, ma perché sono gli agenti principali della violenza e soprattutto i responsabili della millenaria cultura sessista in cui cresciamo, tutte e tutti. 

Sono solo due esempi per rispondere ad un ragionamento che rischia a nostro parere di non ancorare le parole alla realtà. Lombardi Vallauri ad un certo punto asserisce: “se parliamo di violenza fisica, chi se ne occupa veramente sa che essa è davvero uno spregevole primato degli uomini, ma che le principali vittime non ne sono le donne, bensì gli altri uomini”. E più avanti sostiene che la violenza maschile sulle donne sia solo “un pezzetto del problema”. 

Non sappiamo a chi si riferisca Lombardi Vallauri, ma le operatrici che conosciamo noi e che da anni, decenni, si occupano di violenza maschile sulle donne ci dicono che il problema non è un ‘pezzetto’ e che, in un paese come l’Italia, i costi sociali della violenza maschile sulle donne equivalgono ad una manovra finanziaria. Non solo, normative internazionali come la Convenzione di Istanbul, hanno chiarito che “la violenza contro le donne” è anche violenza dei diritti umani e colpisce le donne in modo sproporzionato. In più, come due secoli di femminismi hanno ampiamente dimostrato, quella generica violenza che fa tanto male anche agli uomini è un prodotto della competitiva mentalità virile, così cara alla cultura maschilista che ancora la sostiene. 

La competenza in questioni di genere si acquista, come tutte le altre competenze, con lo studio, l’impegno e lavoro sul campo – e anche molto lavoro su di sé. Lombardi Vallauri ha interpretato erroneamente il significato di parole importanti usate da chi si occupa di violenza maschile sulle donne ed è incorso in una fonte molto discutibile: lo studio infatti che cita per sostenere la ‘simmetria’ della violenza di genere è lo pseudostudio di Macrì notoriamente sconfessato, vicenda che chiunque si occupi di violenza di genere in Italia conosce come proverbiale di certa retorica maschilista travestita da scienza. 

A voler fare una disamina linguistica sulla violenza, dovremmo forse iniziare ad usare in tutte le scuole e università di ordine e grado il linguaggio sessuato, magari così potremmo iniziare a sgomberare il campo da quella forma di violenza così sottile ed evanescente, eppure così intensa e persistente, che si posa sui corpi attraverso le parole. 

Barbara Bonomi Romagnoli e Lorenzo Gasparrini 


Ringrazio Barbara Bonomi Romagnoli e Lorenzo Gasparrini (BBR e LG) per aver voluto alimentare la discussione su questo tema così importante. 

Certamente alcuni malintesi sono dovuti a scarsa chiarezza del mio scritto. Dunque me ne scuso e chiarisco. Sarò forse un po’ ripetitivo, e anche di ciò mi scuso, ma credo meglio stavolta eccedere in questa direzione, visto che formulazioni più sommarie hanno dimostrato di non essere facili da intendere, in presenza di modi di vedere molto radicati. 

In apertura dell’articolo del 26 febbraio avrei dovuto essere più esplicito sul significato corrente di femminicidio violenza sulle donne, nonostante che i termini circolino già da tempo con il valore generalmente noto che ribadiscono anche BBr e LG; ed è quindi mia la responsabilità di avere consentito interpretazioni di stampo naïf. Scrivendo che femminicidio significa “uccisione di femmina da parte di maschio” intendevo esattamente lo stesso che intendono loro, cioè “uccisione di femmina in quanto femmina da parte di maschio in quanto maschio”, non semplicisticamente uccisione in cui i sessi sono quelli per caso. Lo stesso vale per violenza sulle donne

Ripeto, mi rendo conto che avrei fatto meglio a essere più esplicito. Chiunque può però verificare che tutto il resto dell’argomentazione si basa su questo valore dei termini, mentre ben poco di essa sarebbe comprensibile se si basasse sull’interpretazione ingenua che BBR e LG mi attribuiscono.1 E comunque, certo la tesi centrale dell’articolo non sarebbe più quella su cui gli stessi BBE e LG mostrano poi di non essere d’accordo. Che senso avrebbero obiezioni come quelle che sollevano, se davvero per loro la mia tesi fosse che, quando un uomo fa violenza a una donna, non sempre si è trattato davvero di un uomo e di una donna? Ma per fortuna anche loro subito dopo capiscono – tanto da dissentirne espressamente – che io sostengo e deploro che si usino questi termini anche quando non si tratta di ciò cui dovrebbero riferirsi, cioè violenza specificamente di genere quanto al movente (per usare la loro felice formulazione). 

In ogni modo, per venire alla sostanza, l’articolo conviene che tali espressioni sono giustificate nei casi che descrive così: “questa violenza del membro maschio sul membro femmina di una coppia si inserisce spesso (ma non sempre) nell’odiosa mentalità secondo cui la donna sarebbe una sorta di proprietà dell’uomo”. L’articolo sostiene anche, però, che purtroppo quelle espressioni sono spesso adoperate in modo fuorviante: proprio perché dovrebbero significare “violenza del maschio in quanto maschio sulla femmina in quanto femmina”, ma vengono usate in moltissimi casi in cui la violenza è semplicemente conflitto fra partner. 

Ho cercato di attirare l’attenzione sul fatto che – oltre ad altri tipi di violenza trattati introduttivamente per inquadrare più estesamente la questione – anche quella fra i partner nella coppia non è necessariamente “violenza sulle donne” (sempre e proprio intendendo l’espressione nel senso che gentilmente ci ricordano BBR e LG), ma spesso è invece solo violenza di un partner maschio sul partner femmina, e quindi chiamarla “violenza sulle donne” è fuorviante, perché porta a credere che sia perpetrata da maschi perché maschilisti su donne oppresse in quanto donne; mentre invece spesso è praticata solo da partner oggettivamente maschi su partner oggettivamente femmine. 

Appunto nell’accezione ristretta di cui sono ben consapevoli BBR e LG, l’articolo sostiene che la “violenza sulle donne” è un “pezzetto” della violenza totale: non per sostenere in maniera demenziale che la violenza sulle donne in quanto donne sia poco importante, ma per sostenere che la violenza totale, e in particolare buona parte di quella oggettivamente compiuta da maschi e oggettivamente subita da donne, è assai più estesa della violenza specificamente maschilista, e che trattare un esteso insieme contenente fenomeni fra loro diversi come se fosse tutto della natura di un suo pezzo, è un errore. Vedremo nuovamente tra poco che genere di errore. 

In questo quadro è stato utile ricordare qualcosa che oggi passa troppo spesso sotto colpevole silenzio, e cioè che nella coppia praticano varie forme di violenza anche le donne. Questo elemento è dimostrato abbondantemente dai numerosi studi che cito, indipendentemente dal loro essere accettati in toto da tutti per quanto riguarda ogni altro dettaglio. Mi stupirebbe che BBR e LG volessero metterlo in dubbio.2

Purtroppo a molti sfugge la distinzione fra “violenza tra partner nella coppia” e “violenza dovuta a mentalità patriarcale e maschilista”. Si fa tendenziosamente di ogni erba un fascio. Termini come femminicidio e violenza sulle donne, che dovrebbero significare solo quello che ci ricordano anche BBR e LG, vengono invece usati continuamente per riferirsi alla violenza nella coppia, anche quando non è affatto dovuta a mentalità maschilista o patriarcale.3

Questo è ancora più grave quando, come ho ricordato, in un unico calderone si inglobano sotto l’etichetta di “violenza” anche forme di modesta conflittualità.4 E soprattutto, non accorgendosi che molta della violenza e conflittualità nella coppia non ha alcuna specificità di genere, si contribuisce ad avvalorare l’idea che ogni episodio di violenza o addirittura ogni conflitto fra partner sia un episodio di violenza di genere, ossia di applicazione di una mentalità patriarcale. Cioè, che sia l’imposizione, da parte del maschio, di una ideologia di sopraffazione della femmina. Un malinteso gravissimo, perché assegna il torto a priori, annullando il ruolo e la responsabilità personali, e considerando colpevoli gli appartenenti a una categoria in quanto tali. Una cosa che dovrebbe dare i brividi a chi ricorda un po’ di storia. 

  1. Ad esempio, in quale altro modo interpretare frasi come la seguente, riferita appunto all’uso indiscriminato dei termini in questione? “Immaginare la violenza fisica contro le donne nell’ambito della coppia come qualcosa che nasca solo da una tendenza specifica dei maschi a sopraffare selettivamente le femmine in quanto femmine (e non in generale da una tendenza dei partner a sopraffare i partner) non permetterà mai di affrontare il problema in maniera efficace”. ↩︎
  2. Certo a mettere in dubbio quanto attestato dai diversi studi internazionali a cui faccio riferimento, e cioè che esiste anche violenza femminile, non basta che in sbrigativi interventi piuttosto di parte si avanzino dubbi sulla piena affidabilità di tutti gli aspetti dell’articolo di Macrì e colleghi (ad esempio sulle proporzioni esatte dei vari fenomeni; vada appunto il lettore a verificare da chi, in che misura e con che grado di cogenza quel lavoro sarebbe stato “notoriamente sconfessato”, secondo quanto assumono BBR e LG): dubbi altrettanto seri si esprimono sull’opposta indagine ISTAT del 2006, e un po’ su tutto, ovviamente. Né certo è procedimento più affidabile costruire le proprie opinioni su entrambi i lati della questione dai pareri informali – e parziali per definizione – di quelle che gli stessi BBR e LG definiscono come “le operatrici che conosciamo noi e che da anni, decenni, si occupano di violenza maschile sulle donne” (corsivo mio). ↩︎
  3. Il fatto che il maschio prevalga fisicamente è dovuto alla sua maggiore forza fisica, forza che comunque i maschi esercitano molto più contro gli altri maschi che contro le donne; come mi è parso utile ricordare perché chiarisce quanto sia parziale e in ultima analisi falsa la visione purtroppo molto diffusa e dannosa – oltre che alla verità – alla concordia fra i sessi, secondo cui la violenza dei maschi sarebbe indirizzata essenzialmente contro le donne. O che le donne subiscano violenza solo dagli uomini. Non ne ho parlato nell’articolo, ma naturalmente questa favola è sfatata anche dalla violenza che si sprigiona nelle convivenze di persone dello stesso sesso: http://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1177/1363460716681491http://www.bbc.com/news/magazine-29994648. ↩︎
  4. Non mi riferisco oziosamente alle chiacchiere di qualche esagitat*. La tendenza a includere sotto l’etichetta dal sapore atroce di “femminicidio” anche moltissimi comportamenti minori (di cui oltre tutto esiste lo speculare da parte delle donne contro gli uomini, benché non si brandisca con pari aggressività il termine maschicidio), e quindi a comprendervi qualsiasi forma e grado di ostilità di un maschio nei confronti di una femmina, affiora anche in testi di valore e perfino belli come – fra altri – questo articolo di Michela Murgia, che ora mi vedo spinto a criticare direttamente, perché altrimenti si continuerà a insinuare che non leggo quello che bisogna leggere. ↩︎

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