Questa parola di origine inglese è ormai di uso comunissimo in italiano, dove designa colui che, mediante espresso consenso, ha deciso di seguire tutte le attività di una persona o di una qualsiasi entità presente online. Da quel momento, riceve notifica di tali attività; e da quel momento viene contato tra i suoi followers, abbastanza ben tradotti come seguaci (ma la parola inglese è molto più adoperata).

Follower, che è sostantivo, ha un senso diverso da following, che è forma durativa del verbo. Il verbo significa che la persona “sta seguendo”, mentre il sostantivo significa che “è un seguitore”. Il verbo descrive uno stare apprezzando in maniera contingente, transitoria, occasionale, mentre il nome designa l’essere stabilmente, in un certo senso intrinsecamente, uno che approva. La stessa differenza si osserva tra stare coltivando dei pomodori dietro casa ed essere un coltivatore di pomodori; oppure tra uno scrivente (someone who is writing) e uno scrittore (a writer). Infatti nel secondo caso, cioè nel sostantivo, il riferimento a una funzione costante e che caratterizza fortemente la persona genera spesso il passaggio al nome di mestiere. Un coltivatore è chi è caratterizzato in maniera permanente e prioritaria dal fatto di coltivare, uno scrittore lo è dal fatto di scrivere, e così via.

L’abitudine linguistica di designare come follower chiunque “segua” qualcuno online tende dunque ad accentuare l’impressione che tale condizione sia permanente, definitiva, fortemente caratterizzante la persona, quasi una sua proprietà intrinseca. Quella che si potrebbe anche guardare come un’attività del momento e di poca importanza, tende a diventare un tratto definitorio. Come abbiamo detto, usare following o dire sta seguendo alluderebbero a un’adesione transitoria, soggetta a interrompersi se varia qualche condizione; quindi un’adesione che dipende anche da una continua valutazione critica dei contenuti che provengono dalla persona seguita. Usare follower invece accentua l’idea di una adesione incondizionata, che ormai ci caratterizza e che ha poche probabilità di dipendere dal tipo di contenuto proposto. Se si è follower, tipicamente lo si è in toto, non si è solo curiosi di alcune delle cose che il “seguíto” proporrà. “Sono un follower di Rihanna” significa, in fondo, che ho deciso fin d’ora di apprezzare ogni cosa che Rihanna elargirà in rete. Significa che aderisco a priori a Rihanna, che le ho firmato in bianco un impegno a gradire che le sue attività entrino nel mio spazio privato, al ritmo e nei momenti che decide lei.
Poiché il termine prevalente con cui si parla di queste situazioni è proprio il sostantivo, nel bene e nel male decidendo di “seguire” qualcuno ci si trova anche bollati, descritti da tale scelta agli occhi degli altri. Anche per questo motivo, alcune persone più affezionate alla propria indipendenza intellettuale sono restie a cliccare sul tasto “Segui”: se la conseguenza fosse solo quella materiale di ricevere le notifiche, lo farebbero più volentieri; ma poiché vi è la conseguenza aggiuntiva di essere pubblicamente classificati come persone che hanno compiuto un atto di adesione incondizionata (cioè, appunto, figurare nella lista dei follower), preferiscono di no.

Invece tutto questo non disturba più di tanto i miliardi di esseri umani che scelgono continuamente di essere contati tra i follower di ogni genere di persone e cose. Ebbene, ciò non è nuovo. L’adesione incondizionata alle espettorazioni di una fonte, e la disponibilità ad essere pubblicamente identificati come aderenti, ha caratterizzato per millenni la nostra civiltà, e si è sempre chiamata “Fede”. Il fedele non si appresta a vagliare criticamente ogni messaggio del suo guru o maestro, della sua Chiesa o del suo movimento, per poi apprezzare o dissentire a seconda della loro plausibilità: rinuncia a pensare ogni volta, perché ha deciso una volta per tutte di aderire.

Insomma, certo non tutti, ma molti follower sono i nuovi fedeli. Aderiscono a priori: hanno tale fiducia nella Fonte, da decidere in anticipo che varrà la pena di ricevere le sue news. E soprattutto accettano – spesso con fierezza – di essere etichettati pubblicamente come parte della schiera uniforme dei suoi seguaci.

Senza dubbio il bisogno di aderire incondizionatamente fa parte della natura umana, e oltre alle varie fedi religiose lo hanno attestato proprio fenomeni come il divismo di ogni tempo (rivolto a personaggi dello spettacolo o a leader politici), o il tifo per le squadre di calcio. Quindi riguardo ai follower si può anche dire che nihil sub sole novi; ma oltre alle sue cause può essere interessante domandarsi quali siano gli effetti di questo fenomeno. In un’epoca di oggettiva crisi delle fedi tradizionali, queste possono ancora rallentare la loro sparizione grazie al permanere di una mentalità favorevole all’adesione senza riserve. Anche a questo, probabilmente senza che nessuno lo abbia davvero pianificato, serve la diffusione della parola che stiamo esaminando. Il fatto che miliardi di persone siano oggi disposte, senza imbarazzo, a dichiararsi follower, contribuisce a mantenere un clima intellettuale favorevole a qualcosa che in un mondo culturalmente più maturo poteva anche finire per essere screditato, e cioè la disponibilità a dare adesioni incondizionate.

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