Quando si parla di rispetto delle regole, per lo più si ha in mente un’istanza piuttosto grossa (come uno Stato, un Comando, una Scuola) che emana le regole, e tante istanze più piccole (cittadini o aziende, militari, studenti) che devono rispettarle. Ma il prevalere di questa rappresentazione può essere fuorviante. È meglio non dimenticare che al rispetto delle regole è chiamato anche – e prima di tutti – chi le emana. Questo prende due sensi: rispettare le regole, ed emanare regole rispettabili.[1]

In nessun paese che conosco, fra quelli considerati civili, è forte quanto in Italia la sensazione che la pubblica amministrazione si comporti in maniera scorretta nei confronti dei cittadini. In altri paesi questa sensazione è addirittura assente, e la pubblica autorità è sentita come francamente amica. Da noi, non sempre. 

Che cosa fa nascere questa sensazione? Fatti precisi. Certo, all’interno di ampi spazi di amministrazione saggia e corretta, che non vogliamo assolutamente disconoscere o dimenticare. Ma purtroppo un atteggiamento di non piena correttezza permane in molti casi, ed è ancora da debellare. Interessantemente, non si tratta solo di inefficienze e disservizi dovuti alla negligenza di questo o quel pubblico dipendente, ma in alcuni casi proprio di decisioni prese dall’amministrazione, che rivelano l’intenzione di ingannare i cittadini. Diamo qualche esempio, ma a questo cahier de doléances ognuno dei lettori potrà purtroppo aggiungere altri esempi provenienti dalla sua esperienza. 

– Ci sono pratiche giacenti presso uffici per tempi molto lunghi, che impediscono agli interessati di procedere con legittimi progetti e aspirazioni. La Legge 241 del 1990 stabilisce che il procedimento amministrativo iniziato su richiesta del privato deve necessariamente concludersi entro 30 o 90 giorni, secondo i casi; e che le pubbliche amministrazioni devono risarcire il danno ingiusto procurato ai privati in conseguenza del ritardo. Quella sul risarcimento è una norma sistematicamente disattesa da tutte le ripartizioni della Pubblica Amministrazione, e qui è l’aspetto non di mera inefficienza, ma proprio di intenzionale iniquità; dal canto loro gli utenti non possono fruire da parte dello Stato di una uguale elasticità negli adempimenti; anzi, al cittadino vengono sempre presentate scadenze perentorie, oltre le quali decade ogni suo diritto. 

– Tutti pagano una cosiddetta tassa sui rifiuti, che salvo casi fortunatissimi non dipende dalla produzione di spazzatura ma dai metri quadrati dell’abitazione, e quindi solo per inganno è una tassa sui rifiuti: in realtà è una tassa sulla casa; tanto che chi vive spostandosi fra due o tre case deve pagare due o tre tasse sui rifiuti perché ha più case, benché sia chiaro che produrrà comunque la stessa quantità di rifiuti che produce chi vive in una casa sola. 

– I cronici ritardi dei mezzi pubblici (oltre ad altre loro inadempienze, per esempio riguardanti la manutenzione dei mezzi stessi) infliggono gravi danni ai viaggiatori. Si tratta di una mancanza di onestà del soggetto pubblico, che promette un servizio, escute il prezzo di acquisto, e poi non rispetta il patto corrispondente, erogando un servizio diverso e peggiore. Questo è dovuto a motivi di negligenza o addirittura di tornaconto (sottodimensionamento), e dà luogo, nei confronti dei milioni di utenti quotidianamente danneggiati, a indennizzi che variano dal gravemente insufficiente al nullo: ancora una volta, la regola stabilita dalla pubblica amministrazione è disonesta nei confronti del cittadino. 

– Le sanzioni per violazioni del codice della strada sono spesso ottenute mediante prassi astute, ad esempio installando autovelox seminascosti o preparando agguati dei poliziotti con il misuratore tenuto a mano subito dietro a curve o altri ostacoli per la vista. Inoltre, provvedimenti come limiti di velocità eccessivamente bassi rispetto al tipo di strada, o divieti di parcheggio dove non occorrerebbero, creano la possibilità di cogliere il cittadino “in fallo”, e quindi di sottrargli denaro, anche quando adotta comportamenti che non danneggiano nessuno. 

Nel frattempo, la pubblica amministrazione si fa grossi sconti rispetto a suoi doveri strettamente connessi: non ripara il fondo stradale, non ripristina l’illuminazione prevista, e così via. 

– I cantieri pubblici vengono aperti e poi abbandonati, al punto che il danno creato ai cittadini sembra quasi esserne la funzione principale. Molto spesso, una volta istituito il cantiere e creato il disagio alla circolazione, il luogo viene abbandonato come se il suo vero scopo fosse raggiunto. Naturalmente un comportamento onesto da parte della pubblica amministrazione sarebbe quello di aprire un cantiere e di lavorarci alacremente per poterlo chiudere il prima possibile, in modo da infliggere il minimo danno possibile alla popolazione. Ebbene, ciò che accade è l’esatto contrario. Questo naturalmente sarebbe evitabile. In Giappone i lavori stradali si fanno la notte: se la mattina presto non sono finiti il cantiere viene chiuso, coprendo gli scavi con grandi plance di ferro sui cui il traffico può circolare; e si riprende a lavorare (febbrilmente!) la sera successiva. 

– Alcuni anni fa, a seguito di qualche tragico disastro ambientale, lo Stato ha dichiarato area soggetta a rischio idrogeologico (ciè a frane e simili) una porzione enorme di territorio nazionale, non basandosi su valutazioni concrete, ma in modo generalizzato (ad esempio, la classificazione riguardava il territorio di interi comuni). Così lo Stato si sgravava di ogni responsabilità, di fatto proibendo l’utilizzo anche di moltissime aree non a rischio, e scaricando sugli interessati l’onere di dimostrare che la definizione del rischio era errata. In questo caso, in realtà, una decisione politica ha creato difficoltà sia ai cittadini amministrati che alle amministrazioni stesse. 

Rientra nei casi di divieto finalizzato a scansare responsabilità per l’amministrazione, la diffusa abitudine di dichiarare l’acqua di fontane pubbliche “non potabile“, così da evitare il fastidio e l’onere di controlli periodici. 

– Ormai i comuni di alcune grandi città lanciano le allerte meteo anche se le probabilità di fenomeni atmosferici davvero abnormi sono minime; così scaricano sui cittadini la responsabilità di eventuali danni in cui possano incorrere a seguito di semplici acquazzoni, perché il comune stesso non effettua la doverosa manutenzione dei tombini e dei canali di scarico. 

– Nella sanità pubblica, che spesso è esemplare, in alcuni casi però si riempiono fino al limite teorico le agende degli ambulatori e dei reparti ospedalieri, mentre nel contempo si riduce il personale, così da mostrare un aumento di efficienza dei reparti stessi, dove però poi una qualsiasi anche minore emergenza fa saltare ogni pianificazione, generando disagio all’utenza con l’allungamento dei tempi (che si possono ridurre solo scegliendo a caro prezzo l’opzione privata). 

– Nella disciplina dell’aviazione, lo Stato ha decretato con massiva noncuranza enormi spazi aerei riservati ai voli di linea, che restano in gran parte deserti,[2]cosicché i privati sono di fatto costretti a violarli, a meno di fare sempre lunghi giri inutili. 

D’altra parte, i cittadini cercano continuamente di fregare la collettività e la pubblica amministrazione. Per ognuno degli esempi che abbiamo fatto, ci sono i corrispondenti comportamenti illegali a cui gli italiani si abbandonano senza sensi di colpa. Abusi edilizi, infrazioni nel traffico, evasione fiscale… la lista è tanto lunga quanto conosciuta. 

In alcuni casi questa doppia situazione causa un circolo vizioso che fa precipitare la qualità del servizio e dei rapporti fra cittadini e amministrazione: dove i trasporti pubblici sono pessimi, i cittadini sono meno inclini a pagare il biglietto; e in generale, se i servizi pubblici sono subottimali, i cittadini sono meno inclini a pagare le tasse. Ma ovviamente gli introiti minori del previsto e del giusto finiscono per causare un peggioramento del servizio. 

In alcuni casi il serpente che si morde la coda non impatta negativamente solo sulla effettiva qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni, ma proprio sulle intenzioni che guidano l’emanazione delle norme con cui l’amministrazione cerca di disciplinare i cittadini: cioè, l’amministrazione si comporta in modo poco corretto con i cittadini proprio perché consapevole che i cittadini tendono a disattendere le norme; e al tempo stesso i cittadini violano le norme perché le trovano inique. Ad esempio, si impongono limiti di velocità troppo bassi perché si sa già che verranno violati, ma al tempo stesso è vero che vengono violati di più perché sono troppo bassi. Lo stesso avviene per le imposte: sono troppo alte perché non vengono interamente pagate, e se non vengono interamente pagate è anche perché sono troppo alte. Oppure, si dichiara soggetto a frana mezzo territorio per arginare la tendenza agli abusi, ma poi molti costruiscono in zone soggette a frana proprio perché vedono che sono dichiarate soggette a frana anche zone sicure. Si è molto restrittivi con i corridoi destinati ai voli privati per prevenire al massimo gli incidenti dovuti a indisciplina, ma poi molti volano fuori dei corridoi dedicati, proprio perché questi sono assurdamente esigui. 

Ora, è una domanda classica della filosofia del diritto: chi ha più torto? Chi emana regole troppo restrittive o inique anticipando il fatto che non saranno interamente rispettate, o chi non le rispetta? Non ho titolo per addentrarmi in una risposta professionale, ma vorrei concludere questa breve rassegna di casi tipici proponendo una riflessione pratica. 

Ogni genitore di almeno due figli si trova di fronte a circoli viziosi strutturalmente simili a quelli di cui abbiamo parlato, anche se l’oggetto del contendere è più limitato. Se il piccolo Mirko ha fatto un occhio nero al fratellino Matteo, quando rimproverato obbietterà che Matteo per primo lo aveva spinto facendolo cadere per terra. Matteo dirà che ancora prima Mirko gli aveva strappato le pagine del quaderno, e Mirko si giustificherà dicendo che Matteo gli aveva rubato la macchinina… e così via. Al di là della apparente frivolezza dell’esempio, è interessante che questo genere di circoli viziosi sono difficili da interrompere, e che l’unica cosa che può disinnescarli è un comportamento virtuoso. Ma chiedere a un ragazzino di adottare unilateralmente un comportamento virtuoso non è banale: equivale a chiedergli di tollerare un’ingiustizia senza pretendere di ristabilire la parità. In un certo senso, è come chiedergli di prendersi la colpa, di non far valere la pari colpevolezza dell’altro. E allora, che cosa fanno i genitori? Se c’è un fratello maggiore, è a lui che chiedono di interrompere il circolo vizioso, cessando lui di fare dispetti anche se il fratellino non ha smesso. È al fratello maggiore che chiedono di cominciare a comportarsi bene indipendentemente da quello che fa l’altro. Naturalmente la ragione è che il fratello maggiore è più maturo, e da lui ci si può aspettare che capisca meglio l’utilità di una scelta virtuosa. 

Ebbene, tornando al nostro problema di regole, la si potrebbe porre così: devono cominciare prima i cittadini a rispettare i limiti di velocità, oppure devono cominciare prima le amministrazioni a non stabilire limiti iniqui? Tra il cittadino e la pubblica amministrazione, chi è il fratello maggiore? 

[1] Il termine qui può essere preso nei due sensi di “degno di rispetto” e “che è possibile rispettare”. 
[2] Non sono in grado di verificare direttamente questo dato riguardante la disciplina dell’aviazione, che mi viene però riferito da diversi amici che volano con aerei del tipo ultraleggero. 

Lascia un commento