Sarebbe bello che il Piano Borghi servisse a far stare meglio gli abitanti dei luoghi oggi sempre più disabitati, senza trasformarli in parchi-gioco per turisti. Ma la quantità dei soldi, le imprese già annunciate e l’invariabile esperienza del passato obbligano ad essere pessimisti.

“Ventuno borghi straordinari torneranno a vivere. Un meccanismo virtuoso voluto dal Ministero della Cultura ha portato le regioni a individuare progetti ambiziosi che daranno nuove vocazioni a luoghi meravigliosi. Sul PNRR dobbiamo correre, c’è un cronoprogramma stringente e lo stiamo rispettando”. Così inizia il video riassuntivo del Ministero che presenta il Piano Borghi, e così continua:

“Queste le parole del Ministro della Cultura, Dario Franceschini, durante la presentazione del Piano Borghi del PNRR. Dalla Sicilia alla Lombardia, passando per le provincie autonome. I Comuni scelti avranno a disposizione 20 milioni di euro per rilanciare il territorio.

L’obiettivo del Piano Borghi previsto dal PNRR è quello di creare una crescita sostenibile e di qualità distribuendola su tutto il territorio nazionale.

Vediamo di seguito i Borghi interessati dal progetto.

  • Abruzzo: nel Comune di Rocca frazione Rocca Calascio (AQ) prenderà vita l’albergo diffuso, un’area per il campeggio e per la sosta dei cavalli lungo il percorso dell’ippovia;
  • Basilicata: il Comune Monticchio Bagni Rione in Vulture (PZ) prevede la realizzazione di laboratori, spazi di coworking e incubatori di start-up;
  • Calabria: a Gerace (RC) si procederà con il recupero del patrimonio culturale e al miglioramento di fruizione e accessibilità, attraverso interventi digitali;
  • Campania: partecipa al progetto con il Comune di Sanza (SA) per la realizzazione di un albergo diffuso;
  • Emilia Romagna: il Comune di Campolo, frazione di Grizzana Morandi (BO), realizzerà interventi di restauro di beni pubblici e privati vincolati e startup culturali;
  • Friuli Venezia Giulia: Borgo al castello nel Comune di Gorizia (GO) punta sulla rigenerazione culturale, l’insediamento di nuove attività produttive e rigenerazione urbana;
  • Lazio: Trevinano (VT) investe sullo sviluppo di un modello economico che si adatti alla microeconomia di un piccolo borgo;
  • Liguria: Borgo Castello nel Comune di Andorra (SV) sceglie il rilancio del patrimonio storico e culturale;
  • Lombardia: partecipa al progetto con Livemmo nel Comune di Pertica Alta (BS) con l’obbiettivo di valorizzare l’arte e la cultura;
  • Marche: Montalto delle Marche (AP) procederà al recupero di edifici dal valore storico e culturale da destinare a nuove funzioni;
  • Molise: partecipa al progetto con il Comune di Pietrabbondante (IS) per la valorizzazione del patrimonio archeologico;
  • Piemonte: partecipa al progetto con il Comune di Elva (CN) per promuovere un piano di rinnovamento e di rigenerazione culturale, sociale ed economica;
  • Provincia autonoma Bolzano: il Comune di Stelvio (BZ) sceglie la ristrutturazione ecologica delle case più antiche, spazi di coworking e coltivazioni a km 0;
  • Provincia autonoma Trento: partecipa al progetto con il Comune di Palù della Fersina (TN) per la rinascita di un borgo di matrice germanica a sud delle Alpi;
  • Puglia: partecipa al progetto con il Comune di Accadia (FG) per la promozione del patrimonio culturale, naturalistico e abitativo;
  • Sardegna: il Comune di Ulassai (NU) valorizzerà il patrimonio naturale, artistico e culturale, proponendo un progetto di 38 iniziative;
  • Sicilia: partecipa al progetto con il Comune di Vizzini (CT) per la riqualificazione fisica del borgo con la realizzazione di un vero e proprio hub di ricerca sulla produzione della concia di cui è regina;
  • Toscana: partecipa al progetto con il borgo di Castelnuovo in Avane nel Comune di Cavriglia (AR) per la realizzazione di un albergo diffuso con l’incremento occupazionale;
  • Umbria: a Cesi nel Comune di Terni (TR) si vuole riprendere il concetto delle antiche città umbre, focalizzando il focus principale su sport, turismo, ricettività e residenzialità;
  • Valle d’Aosta: partecipa al progetto con il Comune di Fontainemore (AO) per la promozione della filiera agroalimentare;
  • Veneto: Recoaro terme (VI) procederà al rilancio del complesso termale.

Questi sono i 21 borghi scelti dalle regioni, la prima strada verso la valorizzazione, il rilancio economico e la rinascita dei piccoli centri.”

TOUMBAREN I CASEI DI VILAGE

Toumbaren i casei di vilage
Sla mountagno abandounà
Un al bot senzo tapage
I casei dle noste ruà.
Bouch d’erbo biancho, bossou sarvage
Enfoungaren le bianque rei
Ai pe da cles muraie
Esquiapa da l’auro e dal soulei
Per chucchar i-umour
Amar dle noste grime
Di nosti sudour.
Fraire sien de batù!
En bram perdù
La saraio d’na storio doulourouso.
Troup d’sarvan lou sero
Saiaren dai souchier tenebrous
Per viroundar sle quintaine silenziouse
Ad escoutar le vous misteriouse
Que dousse ancaro dapé i lindal
Desert di meisoun
Countaren le storie di minà.
Entant que la serp estremà
Durmarè sout le peire
Rousse di fouier tupì
E i-oss jaoun di Reire
Spouncharen a l’albo
Dai muret deschausà d’i-ort.
Laisa fraire la terro di paire
Scapa fraire da la terro di mort
A sudar val pus la peno
A piourar sierv pus a gnente..
Cadranno i casolari dei villaggi
Sulla montagna abbandonata
Uno alla volta senza rumore
I casolari delle nostre borgate
Cespi d’assenzio, roseti selvaggi
Affonderanno le bianche radici
Ai pie’ di quelle mura
Spaccate dal vento e dal sole
Per suggere gli umori
Amari delle nostre lacrime
Dei nostri sudor¬i.
Siamo dei vinti fratelli!
Un grido perduto
La chiusa d’una storia dolorosa.
Torme di Silvani la sera
Usciranno dai boschi tenebrosi
Per aggirarsi sui vicoli silenziosi
Ad ascoltare le voci misteriose
Che soavi ancora presso le soglie
deserte delle case
Racconteranno le favole di bimbi.
Intanto che la serpe nascosta
Dormirà sotto le pietre
Rosse dei focolari spenti
E l’ossa gialle degli Antenati
Affioreranno all’alba
Dai muretti scalzati degli orti.
Lasciate fratelli la terra dei padri
Fuggite fratelli la terra dei morti.
A sudare non val più la pena
A piangere non serve più a niente.

Questa è Elva, il paese situato a 1600 metri sul mare che in Piemonte prenderà i 20 milioni di euro. La poesia, in occitano e in italiano, è di Piero Raina, che lì fu sindaco negli anni 1970, scomparso nel 2009.[1]

Elva è un luogo straordinario, che lo stesso Raina ricorda nel titolo di un suo libro come il paese “dei Briganti”, secondo la leggenda ispirata dall’estremo isolamento del villaggio e delle sue borgate, che generava una vita al riparo dalle istanze di fondovalle e di pianura. Vi si accede da una lunga strada intagliata negli strapiombi di un vallone laterale della val Maira, che solo negli anni 1950 fu resa carrozzabile, e che fino ad allora era un sentiero impressionante sui dirupi. Gli uomini di Elva, quando la sera scendevano a bere nelle borgate di fondovalle o della dirimpettaia Marmora, per tornare a casa risalivano i 9 chilometri del vallone di Elva barcollando attaccati alla coda dell’asino, in modo da non precipitare.

Sporta dall’alto su quei dirupi, poco discosta dal grumo di case tutte in pietra e legno di larice, la chiesa parrocchiale di Elva contiene l’opera pittorica più notevole che si possa ammirare in tutta la provincia di Cuneo: il ciclo di affreschi con al centro la Crocifissione (circa 1493), opera del fiammingo Hans Clemer, che fu pittore di corte dei Marchesi di Saluzzo.

Quando la civiltà della montagna traeva dagli immensi pascoli fra i 1600 e i 2000 metri una ricchezza capace di pagare onorari importanti, Elva aveva commissionato al grande artista lo splendore della sua chiesa. Ma è sempre rimasta un pugno di case fra i larici, dai muri in pietra e dai tetti di ardesia, su cui gravitavano le molte minuscole borgate sparse sulla montagna, ai piedi del Pelvo, della Marchisa e del Chersogno.

La civiltà della montagna è sparita, battuta dal benessere che ha attirato quasi tutti verso la vita di pianura. Oggi Elva ha 80 abitanti, contro il migliaio che contava quando (nel XIX secolo) gli elvesi si ingegnarono a metter su un fiorente e famoso commercio di capelli, che raccoglievano tosando le monache e le ragazze povere di mezza Italia, e vendevano come parrucche alle donne ricche fino in Francia (fra gli altri, lo racconta Antonella Tarpino ne Il paesaggio fragile). La sua storia successiva è una storia di povertà, di cui la poesia di Raina esprime la disperazione, e che si trova descritta in modo impareggiabile nelle testimonianze raccolte da Nuto Revelli (un libro per tutti: Il mondo dei vinti). Nel 1989 con il mio gruppo scout facemmo la route in val Maira. La sera in cui le tende erano piantate al col san Giovanni di Elva, Piero venne a trovarci, si sedette anche lui in cerchio sull’erba e raccontò la vita della montagna ai venticinque ragazzi e ragazze cresciuti per lo più a Firenze in famiglie della buona borghesia. Fra le altre cose, ci disse che uno dei periodi più belli era quando si cuoceva il pane di tutte le famiglie. Lo si faceva una volta all’anno nel forno della borgata Chiosso, perché era il forno più grande di tutta la vallata: in quella occasione stava acceso per settimane. Quando Piero ebbe finito di raccontare e cominciammo a fargli domande, io nella mia ingenuità e ignoranza lo pregai di tornare sul racconto del pane, e gli chiesi se lo facevano una sola volta all’anno per non accendere il forno tante volte, e quindi consumare meno legna. Piero si mise a ridere, e disse che lassù di legna ce n’era finché se ne voleva, ma di farina invece no, e se si fosse fatto il pane più spesso sarebbe stato troppo buono, e non si sarebbe riusciti a farlo bastare. Calò un silenzio, e credo che molti di quei ragazzi abbiano capito cose che mai avrebbero potuto capire a Firenze. A me tornò in mente un racconto che avevo creduto essere di fantasia, del padre di un mio amico di Dronero, che da bambino fu affidato per un periodo a una famiglia di Elva, e che diceva di avere mangiato per mesi pane tutto verde di muffa e duro come pietra, che diventava commestibile solo mettendolo nel latte della mucca la sera prima.

Ora fra le vecchie case di legno e pietra arriveranno 20 milioni di euro per realizzare “un piano di rinnovamento e di rigenerazione culturale, sociale ed economica”. A Elva sudare varrà di nuovo la pena? Piero Raina sarebbe contento di questo enorme finanziamento? Lo saranno i circa 80 residenti del comune? Lo saranno le ditte a cui verranno affidati lavori e servizi. E i nuovi assessori del Comune, di recente non solo elvesi, che si stanno organizzando. Ma da quando è corsa la notizia, sono sorte da molti sostenitori di Elva domande più precise: i soldi serviranno anche a rifare i 9 km della strada del vallone, ormai dissestatissima, oppure questa essendo di competenza della Provincia resterà chiusa al traffico dei non residenti, che oggi raggiungono Elva con i 17 km di una strada che valica i monti a 2000 metri provenendo dal vicino vallone di Stroppo? E si faranno, come alcuni annunciano, una succursale dell’università di Torino, ricettività alberghiere, musei della montagna, spiegazioni in plastica degli affreschi di Hans Clemer?

Di certo, sui pendii per secoli abbandonati ai cicli delle stagioni, si apriranno i cantieri. Quando chiuderanno, Elva sarà ancora il luogo straordinario che è adesso? Testimonierà ancora di come l’uomo si è aggrappato alla montagna senza cambiarne il volto? Oppure potrà solo raccontarlo, perché sarà diventata l’ennesimo “borgo” confezionato per piacere ai turisti, che – finalmente anche qui – affolleranno le appena inaugurate mangiatoie di tendenza e gli intriganti alberghetti diffusi?

Di certo, sui pendii per secoli abbandonati ai cicli delle stagioni, si apriranno i cantieri. Quando chiuderanno, Elva sarà ancora il luogo straordinario che è adesso? Testimonierà ancora di come l’uomo si è aggrappato alla montagna senza cambiarne il volto? Oppure potrà solo raccontarlo, perché sarà diventata l’ennesimo “borgo” confezionato per piacere ai turisti, che – finalmente anche qui – affolleranno le appena inaugurate mangiatoie di tendenza e gli intriganti alberghetti diffusi?

Si potrebbe essere ottimisti. I 20 milioni potrebbero venire usati in modo geniale, per conservare e proteggere senza trasformare. Se tutto andasse bene, alla chiusura dei cantieri Elva sarebbe ancora un luogo straordinario e primitivo. Potremmo sperare in questo. Ma le frasi che leggiamo lo impediscono. Nella comunicazione ministeriale si trovano parole sinistre. Valorizzazione è un vago eufemismo, che tradisce il timore di dire in modo aperto ciò che si ha in mente: profitto. Quando si parla di “valorizzazione” delle risorse naturali, si ha in mente di farle rendere denaro. La natura non ha bisogno di essere “valorizzata”, è eccellente di per sé. Chi dichiara di volerla valorizzare vuole venderla in cambio di soldi. Asservirla a progetti imprenditoriali. Il fatto che si scelgano eufemismi dimostra che si preferisce non chiamare le proprie intenzioni con il loro nome. “Nuove vocazioni” (per luoghi meravigliosi), “rilancio”, “fruizione”, sono parole della stessa risma.

Comunque, nel precisarsi della vicenda, scrive Repubblica:

“Le risorse destinate a Elva serviranno per realizzare, entro il 2026, undici interventi a partire dalla sistemazione della strada del Vallone. Un’appendice dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e di un Centro Studi di Apicoltura studiate in collaborazione con l’Università di Torino. Vedranno la luce anche una scuola di Pastorizia, l’Osservatorio astronomico “Lhi treèes sitors”, il “Centro Saperi tradizionali delle produzioni alpine”, la Foresteria Alpina, un museo immersivo dedicato al pittore fiammingo Hans Clemer, che ha dipinto la chiesa del paese, e a scrittori elvesi e una scuola per “Riabitare le Alpi” realizzata con il Politecnico di Torino.

Sono previsti anche interventi di riqualificazione dei percorsi naturalistici, con il recupero di tradizioni antiche come la coltivazione delle erbe officinali da cui nasce ad esempio il Genepy. L’obiettivo del progetto di recupero dei borghi, oltre a valorizzarne le bellezze artistiche e naturali, è anche collegato al ripopolamento della montagna, all’occupazione e all’economia locale. Condizioni che, per Elva, sono collegate ai lavori di ripristino della strada del Vallone: nove chilometri, chiusi dal 2014 per i danni dell’alluvione, con residenti e turisti costretti ad allungare il tragitto per raggiungere il borgo e percorrere il doppio dei chilometri. Ora potrà essere sistemata.”

E invece non è vero. Dichiara elusivo il sindaco di Elva: “Con questi fondi non possiamo intervenire sulla viabilità, ma sono previsti anche altri investimenti per migliorarla.” Dunque l’intervento più necessario, forse l’unico intervento veramente necessario, è almeno in forse. Poco più di uno specchietto per le allodole. Ma di certo si faranno le tre sedi distaccate delle università torinesi e di quella di Pollenzo, filiazione dell’espansivo Slow Food. Si farà il museo immersivo, cioè supertecnologico, per coloro che la visione dell’opera di Hans Clemer non intrattiene abbastanza; e si farà la ricettività alberghiera per tutti i lettori di consigli turistici online, che saranno finalmente attratti lassù da tali cose attuali e progressive. I sentieri antichi saranno ammodernati e resi più facili, cancellando il loro discreto adagiarsi nella terra; e saranno costellati di cartelli indistruttibili che spiegheranno le piante e gli animali, vantando l’importanza dell’intervento dell’Amministrazione: è questo che significa, l’orrido eufemismo “riqualificazione dei percorsi naturalistici“.

Io credo che gli abitanti di Elva saranno contenti, e questo è importante. Non vivranno più in un luogo primitivo. Non dovranno più presidiare l’ultimo luogo intatto. E certo molti altri che non sono di Elva saranno contenti degli appalti. Ci sarà da spartirsi un bel po’ di grana.

Molte delle altre Regioni hanno scelto di rilanciare economicamente luoghi che ne avevano altrettanto bisogno ma che non possono più essere rovinati, perché non sono delle delicate sopravvivenze di una storia umana perduta.[3] Ma il caso piemontese di Elva, forse al pari di altri che non posso commentare perché non li conosco, è diverso. Con Elva scomparirà uno dei più meravigliosi esempi di qualcosa che nel mondo civilizzato ha cessato di esistere. Chi sale a Elva oggi lo trova ancora, e presto non lo troverà più. La bellezza delle montagne e dell’arte vi riposano come hanno fatto durante la profondità del tempo, nella più completa assenza di iniziative volte a intrattenere il visitatore e a captare i suoi soldi. L’atmosfera che ancora vi si sperimenta è perfino difficile da immaginare per chi è abituato al turismo di montagna.

In Piemonte, parecchi altri comuni ambivano a questi 20 milioni (17 municipi avevano presentato domanda e dossier): sono comuni che da tempo hanno perso la purezza di insediamento che a Elva era quasi miracolosamente scampata alla modernità.[4] Si poteva scegliere di “rilanciare” con il PNRR luoghi dove i soldi avrebbero fatto del bene senza fare del male. Sovvenire a necessità del tutto paragonabili a quelle degli abitanti di Elva, dove però questo non causava un tanto grande danno per la collettività generale. Così si sono regolate le altre Regioni, forse non tutte (ad esempio, temo che la rarefatta atmosfera della Rocca di Calascio, in Abruzzo, soccomba a tanti quattrini). E la Regione Piemonte doveva sì, assolutamente, premiare la straordinarietà di Elva, ma non con una quantità di denaro tale da causarne lo snaturamento. Con altri, più rispettosi soldi. Ripristinare i servizi necessari alle persone di Elva, invece di farne una roboante esibizione della finta montagna. È giusto evitare che vivere in un fragile gioiello condanni gli elvesi alla povertà, ma al tempo stesso non è giusto distruggere il gioiello.

È possibile che il finanziatore pubblico sia tanto stupido? Che dica: “questo luogo è unico e prezioso perché è rimasto straordinariamente autentico e primitivo: premiamolo con dei soldi in modo che possa non essere più autentico e primitivo! Anzi, diamogliene enormemente troppi, in modo da essere sicuri che proprio non possa più, essere autentico e primitivo. Facciamolo diventare come mille altri posti già messi a reddito”. Possibile che il Ministero della Cultura voglia cancellare un luogo culturalmente unico, rendendolo un luogo qualsiasi?

Sarebbe bello che il Piano Borghi servisse a far stare meglio gli abitanti senza trasformare Elva in una caramella per turisti. Ma la quantità dei soldi, le imprese già annunciate e l’invariabile esperienza del passato obbligano ad essere pessimisti. No, il finanziatore non è stupido. La società dei consumi individua le ultime sacche di resistenza ai suoi modelli, e le annienta.

[1] Si può ascoltarlo qui in una preziosa lettura “rubatagli” nella cucina di casa sua verso la fine del secolo scorso.
[3] Lo si vede già dalla lista che abbiamo riportato in apertura, e meglio lo si capisce guardando il video e il sito del Ministero.
[4] È anche il caso della peraltro bellissima Ostana, arrivata seconda nella gara, che ha presentato ricorso contro la decisione della Regione.

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