Molti lettori ci chiedono se sia lecito adoperare il termine visionario nel senso positivo che va sempre più diffondendosi, e che sembra più caratteristico dell’inglese visionary; si domandano anche a che cosa si debba questo cambiamento nella connotazione della parola.
Rilevano i nostri lettori che l’uso prevalente di visionario (che è sia nome sia aggettivo) conosceva fino a poco tempo fa in italiano connotazioni essenzialmente negative, legate all’idea che avere delle visioni significasse soprattutto ingannarsi, vedere ciò che non c’è, essere poco padroni di sé. Una ricognizione sugli autori letterari raccolti nella BIZ conferma questa opinione. Per darne un’idea offriamo alcuni esempi. Si veda questo passo della Lettera 462 a Francesco Puccinotti (1826), in cui Giacomo Leopardi critica un altro colosso dell’epoca sua (il corsivo è nostro):
Le Memorie del Goethe hanno molte cose nuove e proprie, come tutte le opere di quell’autore, e gran parte delle altre scritture tedesche; ma sono scritte con una così salvatica oscurità e confusione, e mostrano certi sentimenti e certi principii così bizzarri, mistici e da visionario, che se ho da dirne il mio parere, non mi piacciono veramente molto.
Oppure questi versi, sempre di Leopardi, dai Paralipomeni della Batracomiomachia (1842), dove il termine entra in dittologia quasi sinonimica (cioè in un’espressione fatta di due parole quasi sinonime) con sciocco:
Cercollo il conte orando ammorbidire,
Ma tacque il volo e l’infernal paese,
Perché temé da quel guerrier canuto
Per visionario e sciocco esser tenuto.
E così lo usa Francesco De Sanctis, in una pagina sull’opera di Teofilo Folengo, nella Storia della Letteratura Italiana (1870):
La scolastica è messa alla berlina: san Tommaso e Scoto e Alberto stanno come visionari accanto agli astrologi e a’ negromanti.
Ma non manca qualche venatura positiva in questo passo di Giovanni Verga (da Primavera, 1876):
E tu, povero grande artista da birreria, va a strascinare la tua catena; va a vestirti meglio e a mangiare tutti i giorni; va ad ubbriacare i tuoi sogni di una volta fra il fumo delle pipe e del gin, nei lontani paesi dove nessuno ti conosce e nessuno ti vuol bene; va a dimenticare la Principessa fra le altre principesse di laggiù, quando i danari raccolti alla porta del caffè avranno scacciato la melanconica immagine dell’ultimo addio scambiato là, in quella triste sala d’aspetto. E poi, quando ritornerai, non più giovane, né povero, né sciocco, né entusiasta, né visionario come allora, e incontrerai la Principessa, non le parlare del bel tempo passato, di quel riso, di quelle lagrime, ché anche ella si è ingrassata, non si veste più a credenza al Cordusio, e non ti comprenderebbe più. E ciò è ancora più triste – qualchevolta.
Resta negativo il senso del termine in Malombra di Antonio Fogazzaro (1881):
Egli durava fatica a difendersi dallo stolto sospetto che anche Edith avesse cangiato dalla sera precedente, come il cielo; che la notte, il sonno, altri pensieri avessero spenta la sua inclinazione nascente, se pure questa inclinazione non era un abbaglio visionario.
Ed anche in Confessione postuma di Remigio Zena (1917):
Mi perdoni, Monsignore reverendissimo, se nello stato di turbamento ineffabile nel quale mi trovo, ardisco rivolgermi a lei, chiedendo aiuto e consiglio. Prima di confidarmi ad altri, che forse riderebbero di me trattandomi d’allucinato e di visionario, dalla sua carità paterna imploro quella pace al mio spirito che altri non saprebbero darmi […].
Tuttavia nel corso del ‘900, sempre accanto al senso negativo, quello positivo prende piede. Ecco come lo usa Scipio Sighele in L’intelligenza della folla (1910):
Quanto ai veri “nuovi orizzonti” dello spirito, schiusi da un Newton o da un Descartes; quanto alle nuove tonalità del cuore apportate al mondo da tutti i grandi visionari mistici o patrioti del passato, profeti ebrei, aedi greci, bardi celti, da un Orfeo o un Budda, da un Virgilio o un San Paolo o un San Francesco d’Assisi o un Dante o un Rousseau o un Chateaubriand – è sempre nel deserto, lunge dalle moltitudini che cotesti germi destinati a una così lontana disseminazione sono creati per la prima volta.
E così Grazie Deledda, in Cosima (1937):
I suoi sensi sono calmi, quasi freddi: la fantasia misurata. Non ama le donne, non pensa che a studiare, approfondire le cose della vita, ma attraverso i libri. No, non ha fantasia, ma forse anche lui è un po’ visionario, come la sorella piccola, e viene da un mondo lontano dalla cruda realtà.
Qui Carlo Emilio Gadda traducendo, nel 1953, L’agente segreto di Joseph Conrad:
Egli appunto pensava a lei come si pensa a una donna – a quella certa categoria della femminilità che s’incarna nell’ingenua, tenera, ardente guardia del corpo reclutata intorno ad ogni uomo il quale sappia parlare sotto l’influsso d’un’emozione, sincera o falsa che sia: intorno ai predicatori, ai visionari, ai profeti. Apprezzando in tal modo la buona, la nobile amica della moglie e sua, il Vice-Commissario rimase allarmato al pensiero di ciò che la sorte poteva riserbare al galeotto Michaelis.
Il senso positivo appare assai consolidato in questo passo di Edoardo Sanguineti, da Ideologia e linguaggio, del 1965:
Il Pascoli visionario di cui parliamo, il Pascoli onirico e ipnotico, non è questo Pascoli chiuso nel registro inerte del liberty, ma è il Pascoli, poniamo, dello stupendo attacco dell’Aquilone.
Così anche in un intervento critico di Corrado Bertelli del 1981, intitolato Un quadro difficile:
Corrado Maltese ha supposto che Piero avesse voluto raffigurare non un’architettura vera, ma una ficta, una prospettiva di stucchi come quella realizzata da Bramante in San Satiro. Forse un’ipotesi non del tutto necessaria, se comunque Piero avrebbe dovuto costruire prospetticamente la sua architettura, ma suggestiva per sottolineare il carattere visionario dell’illuminazione di tutta la scena.
Altrettanto ne La grande sera di Giuseppe Pontiggia (1989):
A volte il nostro desiderio si concentra su una parte sola del corpo (…) e la trasforma in una totalità visionaria. Circoscrivere diventa dilatare.
Insomma, alla fine del secolo visionario non può più considerarsi un termine di senso negativo. E naturalmente non solo in testi letterari. Ad esempio nelle dieci annate 1992-2001 del quotidiano “La Stampa” si trova abbondantemente in entrambi i sensi. Da un lato quello negativo, di cui diamo qui alcuni esempi:
Parlando del profeta Isaia scrive: Io non credo ai profeti, ai visionari, agli illusi e agli illusori di tutti i tempi e di tutte le latitudini: finiscono sempre per chiedere espiazioni di sangue.
Quando La Malfa lasciò il governo dissero che era visionario, ma ora Martinazzoli dice che la dc è moribonda e Martelli che il psi è morto.
il volume, senza voler infierire sulle civiltà non europee, attacca gli studiosi che vorrebbero gabbare da visionarie le realtà scomode.
Il Foggia si batte cercando di fare il possibile per dimostrare che Zeman non è poi un pazzo visionario.
i socialisti sono forse quelli che per primi hanno visto la gravità della situazione, e per questo sono stati accusati di essere visionari.
La vedova profuse tutte le sue energie per dimostrare che l’ex marito non era un visionario.
D’altro lato, quello positivo:
incantevole trasfigurazione musicale di una vibrazione di ali e di luce, vero emblema del carattere visionario dell’arte di Vaughan Williams;
Si sono divisi per settimane e settimane sandwich e birre, hanno dormito nei motel, si sono intrisi della provincia americana ed ora traboccano di progetti che sembrano raccogliere tutte le utopie liberali, con molta generosa confusione, un po’ di spirito visionario, una tendenza libertaria che punta sulla fratellanza universale che è il nerbo democratico dell’America, della conquista, della ribellione individuale contro l’ eccesso di potere, che poi diventa rivoluzione liberale.
La tv è un elettrodomestico geniale, visionario, ma sempre elettrodomestico;
In tal modo la partitura si sfilaccia un po’, perdendo di coesione e di varietà, anche se buoni momenti sono venuti fuori, specialmente nella visionaria forza espressiva del primo e dell’ultimo movimento, tra le cose più intense che Mahler abbia mai scritto.
il regista Ridley Scott ha puntato tutto su un Colombo avventuriero e visionario, geniale.
Il capitolo che Du Plantier dedica al maestro, con cui realizzerà nel ’76 “Il messia”, trasuda affetto e ammirazione per l’uomo sul cui viso si mescolavano gravità, serenità con quel non so che di ironia che temperava l’intensità dello sguardo, per il pedagogo visionario, che credeva fermamente nelle immense possibilità offerte dall’ invenzione dei fratelli Lumière.
Ma il caso di Bompiani è diverso, perché è stato non solo un imprenditore visionario e audace e non solo una guida di casa editrice di straordinario prestigio e vitalità.
Come si vede, i due valori convivono nella lingua quotidiana di quegli anni, nello stesso giornale, e a volte nella stessa frase (sempre che si voglia prendere in senso negativo la seconda occorrenza del termine nel passo seguente):
Le statistiche confortano i successi di Deng, visionario pragmatico, a petto dei fallimenti di Mao, visionario apocalittico.
Occorre osservare che l’accezione negativa della parola non è del tutto assente in inglese, dove però si è maggiormente affermata quella positiva, del visionario come colui che ha una visione di qualità superiore, anticipatrice di ciò che ancora non c’è ma vale la pena di realizzare. Insomma, come è naturale, un termine che designa chi ha delle visioni può riguardare sia visioni fallaci e senza valore, sia visioni profetiche e rivelatrici.
Un modo di guardare la cosa è dire che l’oscillazione fra visioni negative e dannose da una parte, e visioni utili e positive dall’altra, riguardi la realtà, cioè il valore che assumono nella realtà le visioni; e che dunque la parola possa designare a seconda dei casi cose positive o negative non tanto per le sue caratteristiche intrinseche come parola, ma per la piega che prendono le cose nella realtà. Ad esempio, se un ingegnere che deve realizzare una turbina ha delle visioni, cioè immagina cose che non esistono, queste probabilmente disturberanno o guasteranno il suo lavoro, che non deve basarsi su fantasie, ma su calcoli. Quindi è meglio che un ingegnere non sia un visionario, e se si dice di lui che lo è, questo giudizio si potrà connotare negativamente. Ma se ad avere delle visioni di ciò che non c’è davvero è invece un pittore o un poeta, queste probabilmente conferiranno al suo lavoro l’originalità e l’intensità emotiva di cui ha bisogno per non essere banale. Quindi è bene che un artista sia visionario, e se si dice di lui che lo è, questo giudizio si connoterà positivamente.
Tuttavia, ciò a cui si è assistito negli ultimi anni, e che i lettori con la consueta sensibilità segnalano, è che il termine tende ormai ad essere adoperato in senso positivo indipendentemente dal contesto cui si riferisce. Insomma, oggi visionario è positivo anche se detto dell’ingegnere che progetta la turbina, e forse perfino del burocrate che riorganizza le procedure di sua competenza: perché?
Anzitutto occorre ricordare che il significato delle espressioni linguistiche può essere analizzato in due componenti: denotazione e connotazione. La denotazione è la cosa che l’espressione designa, mentre la connotazione sono le caratteristiche che la parola attribuisce alla cosa. Ad esempio, il vincitore di Austerlitz designa la stessa porzione di realtà designata da lo sconfitto di Waterloo: entrambe le espressioni denotano Napoleone Bonaparte, ma attribuendogli una diversa caratteristica, cioè connotandolo come vincitore di una battaglia o come sconfitto in un’altra. Questo fenomeno è pervasivo: nella stessa famiglia persone diverse possono denotare la stessa persona connotandola come “mio padre”, “mio marito”, “mio figlio”, “mio fratello” e così via. E perfino verbi come andare e venire possono riferirsi allo stesso movimento connotandolo come avvicinamento o allontanamento, a seconda dei punti di vista.
Un caso particolare e importante della divisione del significato in denotazione e connotazione è l’esistenza, in alcune parole, di una componente valutativa; per cui è possibile dire che, a parità di denotazione, parole diverse possono avere una connotazione positiva, neutra o negativa. Quindi folla e calca hanno la stessa denotazione, cioè sono adatte a denotare la stessa porzione di realtà, ma solo la seconda la connota negativamente. Quale che sia la natura di un assembramento nella realtà, io posso scegliere di connotarlo negativamente definendolo una calca. Lo stesso vale per minestra e sbobba, o per bambino e moccioso. Così accanito, testardo, ostinato, caparbio, perseverante, denotano la stessa qualità ma si distribuiscono approssimativamente su una scala di connotazioni dalla più negativa alla più positiva. Lo stesso vale, in una certa misura, di taccagno, gretto, avaro, risparmiatore e parsimonioso, e di tante altre serie di aggettivi.
Ebbene, tornando a visionario: la nuova connotazione positiva della parola si impone sulla realtà; e quindi se sentiamo parlare di un ingegnere visionario, sapendo che dobbiamo interpretare la parola in senso positivo, immagineremo che ci si riferisca a qualche ambito del lavoro ingegneristico in cui essere visionari è positivo: dunque non l’esattezza dei calcoli, ovviamente, ma qualche aspetto di progettazione estremamente avanzata o addirittura avveniristica. E perfino il burocrate visionario, lo immagineremo non come una persona inadeguata al suo compito perché scollata dalla realtà, ma come colui che introduce l’orario flessibile, la digitalizzazione completa delle pratiche, l’unificazione di tutte le banche dati, e così via.
Insomma, il termine si è avviato a perdere la connotazione negativa che aveva in passato, valorizzando la possibilità di usi neutri o addirittura connotati positivamente; ed è vero che questo processo è iniziato prima nel mondo anglosassone, che ci influenza sia antropologicamente che linguisticamente. Tentando di rispondere ai lettori, una causa di questo processo può essere identificata, fra l’altro, con il fatto che nel sistema economico mondiale è andata recentemente crescendo l’importanza di cose come il marketing, l’immagine, la capacità di presentare persone e cose sotto una luce che ne potenzi l’attrattiva, associandoli cioè a un immaginario entusiasmante; e al tempo stesso vi è stata una accelerazione dei processi di innovazione, per cui in ogni momento il sistema produttivo è pressato dalla necessità di prepararsi a novità fino a pochissimo tempo prima inimmaginabili, che per di più ha davvero la possibilità di realizzare. Semplificando molto, le quotazioni del realismo “con i piedi per terra” sono calate, e sono salite quelle della continua creazione di oggetti concreti prima impensabili, di pari passo con la continua evocazione nell’immaginario collettivo di oggetti di bramosia. Il prestigio e l’utilità del nuovo hanno eclissato il prestigio e l’utilità dell’antico. Immaginare cose che non esistono non è più una divagazione inutile, ma la base necessaria per continui nuovi, vicinissimi successi.
Questo generale slittamento dei valori può ben essere tra le cause che hanno favorito il prevalere di una connotazione positiva per un termine che designa un atteggiamento fortemente proiettato su ciò che non esiste (ancora). Infatti, come segnalano alcuni lettori richiamandosi alla figura prototipica di Steve Jobs, i “visionari” per eccellenza sono ormai tipicamente imprenditori e manager, specialmente se di aziende fortemente tecnologiche, cioè nelle quali prevedere il futuro, anticiparlo grazie a visioni profetiche, e quindi realizzarlo prima della concorrenza, è diventato un requisito essenziale.
Articolo originariamente pubblicato dall’Accademia della Crusca