Una parola che è sulla bocca di tutti, e di cui tutti pensano di conoscere bene il significato, sul quale però pesano tradizioni di pensiero molto ingombranti che in parte lo nascondono, è gelosia. Cioè il desiderio che nessuno possa godere di ciò di cui godiamo noi presso il nostro partner, soprattutto dal punto di vista fisico e sentimentale. Ma perché non vogliamo che altri si avvicinino fisicamente a chi ci sta a cuore? Perché stiamo buoni se qualcuno ci gioca insieme a tennis, ma nessuno può dargli un bacio meno che casto senza gettarci nel panico? Che cosa è, dunque, la gelosia?
Scrive Jared Diamond, a proposito delle specie animali in cui le cure parentali non sono affidate solo alla femmina, ma ripartite tra la femmina e il maschio:[1]
“La condivisione della genitorialità non pone fine alla battaglia fra i sessi. Non necessariamente elimina la tensione fra gli interessi della madre e quelli del padre, che sorge dal loro diverso investimento di sforzo prima della nascita. Anche nelle specie di mammiferi e di uccelli che praticano la cura della prole da parte del padre, i maschi cercano di minimizzare la cura che possono prestare in modo che la prole rimanga comunque in vita grazie agli sforzi della madre. I maschi cercano anche di fecondare le compagne di altri maschi, cosicché lo sfortunato cornuto si prenda cura della prole di chi l’ha reso tale. Quindi hanno buone ragioni per diventare paranoici sul comportamento della compagna.”
In questo noi non siamo molto diversi dagli uccelli. Anche la gelosia umana è anzitutto il manifestarsi naturale dell’istinto riproduttivo, e quindi è la tutela dell’iter di trasmissione del nostro genoma alle generazioni future. Questo istinto ignora che ormai la nostra specie non rischia l’estinzione (almeno non per insufficiente riproduzione), e che la lotta per assicurare la massima diffusione al nostro genoma non ha più molto senso nella razza umana. Da quando, poi, esiste il controllo delle nascite, è diventato marginale anche il timore che la prole che si alleva sia geneticamente altrui. Quindi che la gelosia insorga è sì biologicamente naturale e totalmente comprensibile; ma per noi, a differenza degli animali, non è più conveniente. Ci fa considerare danneggiati da circostanze che non ci danneggiano più, cioè ci fa sentire come negative delle cose che in realtà non lo sono più, e quindi è una fonte di sofferenza inutile. Se la gelosia, pur avendo perduto la sua funzione naturale, generasse piacere, se ne potrebbe approfittare per stare bene, come di tanti altri istinti; ma invece – come ognuno sa per esperienza – fa stare male.
È utile rendersi conto che l’istinto primario della gelosia viene poi molto indirizzato dall’esterno. Cioè, si è gelosi di cose differenti a seconda di come ci si è abituati. Ad esempio, nel mondo musulmano la gelosia prende forme molto diverse tra maschi e femmine, perché i comportamenti di cui ci si abitua ad essere gelosi sono diversi. Il fatto che le regole della convivenza rendano normale per un uomo avere più di una donna ma non l’inverso, rende del tutto intollerabile per un uomo l’idea che altri si avvicinino a una sua donna, mentre una donna è più abituata a non sentirsi danneggiata dal fatto di non essere l’unica.
Per fare un solo altro esempio fra i moltissimi che provengono dalla letteratura antropologica, Philip Lieberman[2] riferisce che il popolo Pirahã, che abita in maniera del tutto primitiva la foresta amazzonica brasiliana, e che parla probabilmente la lingua più semplice e primitiva che esista al mondo, ha un patrimonio genetico che include larghe parti in comune con i popoli vicini, a causa dell’abitudine di offrire le mogli e le figlie ai visitatori maschi. Questi primitivi sanno ciò che noi non sappiamo più, e cioè che non si perde una donna perché lei si accoppia con un altro uomo.
La millenaria tradizione morale in cui viviamo noi, invece, ha sacralizzato la monogamia colpevolizzando il sesso fuori di essa, e fornendo alla gelosia (che è essenzialmente egoismo) una straordinaria patente di nobiltà. Non discutiamo qui di questo, che è sotto gli occhi di tutti. Ci occupiamo invece di un’altra forma di nobilitazione impropria della gelosia, che viene appunto dalla confusione sul significato della parola. In particolare, la gelosia viene confusa con un altro sentimento che le è contiguo, e da questa somiglianza trae una buona parte della sua giustificazione. Proveremo dunque a chiarire la differenza tra i due fenomeni diversi a cui di solito ci si riferisce con il nome di gelosia, e che invece meriterebbero di essere compresi come distinti, e chiamati con nomi diversi. Questa distinzione sfugge ai più, con loro preciso danno, perché il primo fenomeno, la possessività, è più giustificato, la gelosia molto meno.[3]
Se si sta bene con qualcuno, si vuole stare insieme con lui. Se gli si vuole bene, si desidera essere ricambiati. Insomma, si desidera averlo per sé, che lui pensi a noi, che ci dia importanza, che ci dedichi il suo tempo nello stesso modo in cui noi desideriamo fare questo per lui e con lui. Usando un termine che qui è privo di connotazioni negative perché è inteso in senso reciproco, si vuole possederlo. Ci si vuole possedere a vicenda. La possessività è un ingrediente essenziale del fatto che si tiene a qualcuno. Se si desidera una persona, non è possibile che ci sia indifferente la misura in cui questa è disponibile per noi. L’amore è possessivo. Se non diventa ossessivamente possessivo, fino al punto di asfissiare la vita dell’altro, questo è bello.
Dunque, il possessivo è colui che vuole avere la persona amata.
Il geloso, invece, è che colui che non vuole che altri l’abbiano.
Il geloso vuole che ciò che ha lui non lo abbiano anche altri. Il puro possessivo vuole semplicemente averlo lui, e se poi l’hanno anche gli altri, va bene. Certo, parlando di una persona, se gli altri la hanno troppo, non ne rimane per te, perché la vita è limitata nel tempo. Quindi la possessività rappresenta comunque un limite alla disponibilità del proprio partner per altri. Ma un limite relativo, dovuto alla limitatezza del tempo e delle energie, non allo specifico bisogno (la gelosia, appunto) che nessuno goda della persona amata e che lei non goda di nessuno. Dunque il possessivo, a meno che sia anche geloso, non soffrirà se in sua assenza, quando lui comunque non potrebbe stare con lei, la persona amata va con un altro che le piace. Il possessivo vorrà avere molto della persona amata. Non vorrà proprio tutto, perché per ricevere davvero tutto il tempo e tutte le energie di un altro bisognerebbe dargli tutto il proprio tempo e tutte le proprie energie, estinguendosi in una simbiosi che non lascerebbe spazio a nient’altro. Certamente se la ama vorrà averla molto. Però per il resto, per la parte che la sua propria disponibilità lascia libera all’amato (il caso più tipico è appunto la propria fisica assenza), non sarà disturbato che fra le tante cose che la persona amata può fare senza di lui, ci sia anche l’avere rapporti fisici con altre persone. Se invece questo lo disturba, abbiamo non solo un possessivo, ma anche un geloso.
Il geloso, anche se non può fruire dell’amato in un certo momento, non accetterà che l’amante impieghi quel momento con un partner sessuale. Bene il nuoto, la lettura, lo shopping; ma non il sesso, né qualsiasi sua approssimazione.
Che possessività e gelosia possano portare a comportamenti simili, è vero. Come abbiamo già osservato, il timore che frequentare altri possa alienarci la persona amata, ledendo così il nostro bisogno di possederla, è spesso sufficiente perché desideriamo tenerla sotto una campana di vetro. Ma quando si tratti di persone che non hanno nessuna possibilità di togliercela, il possessivo darà via libera, mentre il geloso alzerà la paletta rossa.
Per dare evidenza al fatto che le due pulsioni sono diverse, è utile immaginare i tipi di uomo o di donna che si producono nelle quattro possibili combinazioni della loro presenza e assenza:
possessivo geloso | possessivo non-geloso |
non-possessivo geloso | non-possessivo non-geloso |
1. Il possessivo geloso: è il caso della grandissima maggioranza delle persone che si amano e stanno insieme. È colui o colei che vuole avere la persona amata, e non vuole che altri l’abbiano.
2. Il non-possessivo non-geloso: è il caso di tutti quelli che non si vogliono bene e non si danno importanza l’un l’altro. Tutti gli estranei sono reciprocamente non-possessivi e non-gelosi: non vogliono avere l’altro e non gli interessa se l’hanno altri.
3. Il possessivo non-geloso: è il caso di chi vuole bene all’altro, e addirittura al punto di volergli accordare ogni piacere cui non sia necessario rinunciare. Non pretende di decidere lui che cosa deve avvenire fra la persona amata e gli altri; gli importa di come è la persona amata con lui: quanto la può avere, quanto lei lo ama. Se questo è il risultato del fatto che lei non tocca mai altri, o invece che li tocca, non è decisivo. Insomma, il possessivo non-geloso vuole avere la persona amata; e non gli dispiace se l’hanno altri. Anzi, probabilmente se le esperienze fatte con altri diventano condivise, le apprezzerà come ogni altra esperienza della persona amata. Questo tipo di persona è oggi estremamente minoritario, ma in crescita. Ne fanno parte anche coloro che sono lieti di condividere con la persona amata esperienze sessuali promiscue.
4. Il non-possessivo geloso: è il caso (molto frequente) di colui che non desidera più di tanto avere la persona amata, ma vuole assolutamente che non l’abbiano gli altri. L’immaginario collettivo lo conosce nella versione peggiore del “marito siciliano”,[4] cioè colui che si disinteressa completamente della moglie, non ha voglia di fare niente con lei, passa tutto il suo tempo con gli amici e comunque con altre persone, ma se un altro uomo alza anche solo lo sguardo su di lei, esce pazzo.
La gelosia dovuta a possessività, caratteristica del tipo 1, è chiaramente di matrice naturale, e non può essere eliminata del tutto; ma può essere resa meno nociva per i membri di una coppia, limitandola ai casi in cui l’altro con cui va la persona amata potrebbe davvero allontanarla da noi; e in ultima analisi mettendola a tacere anche in questi casi, perché, a dire il vero, se la persona che amiamo trova qualcuno che per lei è meglio di noi, seppure a malincuore dobbiamo riconoscere che è giusto lasciarla andare.
Invece la gelosia senza possessività, caratteristica del tipo 4, è chiaramente un prodotto culturale. Ad animare il sacro fuoco che rende intollerabile al “marito siciliano” anche solo lo scambio di uno sguardo fra la moglie e un altro uomo, non è il desiderio che lei gli stia vicino; è invece, quasi per intero, un’idea piuttosto arbitraria di “onore”, elevata a pervasivo costume sociale, che nella mente del geloso lega in maniera maniacale la sua rispettabilità, reputazione e perfino autostima al grado di controllo che lui ha sulla vita sessuale della moglie.
[1] Jared Diamond, Why is Sex Fun, New York, Basic Books, 1997, pag. 30.
[2] Philip Lieberman, The Unpredictable Species, Princeton University Press, 2013, pag. 181.
[3] Questa riflessione si può trovare in forma radiofonica come puntata n. 20 della seconda serie del programma di Rai Radio Tre Castelli in Aria, dal titolo: “Sincerità attiva e passiva. Possessività e gelosia sono due cose diverse”. Chi voglia ricevere l’intera serie dei Castelli in Aria può iscriversi QUI.
[4] Inteso ovviamente come tipizzazione vulgata del marito geloso, non come allusione a una situazione effettiva.
Articolo originariamente pubblicato su MicroMega