In certi ambienti questa parola è usata in modo truffaldino, mantenendone apparentemente il significato ma in realtà cambiando gli oggetti a cui la si riferisce, fino a farle designare cose che sono quasi il contrario.

L’esperienza di chi vive con attenzione è costellata di inconoscibili. Non sappiamo da che cosa si sia originato tutto ciò che è: può qualcosa, o addirittura un intero universo, prodursi dal nulla? E forse che l’unica alternativa facile da descrivere in parole, cioè che esista “da sempre”, è più realistica o comunque davvero immaginabile dalle nostre menti? Stiamo in mezzo all’incomprensibile, che si estende in tutte le direzioni. Anche senza andare così lontano, è misterioso perfino quello che accade nella nostra stessa testa. Processi (bio)chimici producono, cosa senza alcun parallelo nel resto del reale, entità non fisiche come la coscienza e il pensiero. Che rapporto di causa-effetto vi sia tra l’attività dei neuroni e la consapevolezza di esistere, continua ad essere da noi ignorato a dispetto di ogni progresso nella descrizione sia del cervello che della psicologia. E questi sono solo i fatti. Con i significati va ancora peggio. C’è un senso per come le cose stanno? C’è un profondo fine per il tutto? o almeno per la vita dell’uomo? Naturalmente a questo genere di domande non si può rispondere in modo scientifico, cioè deducendo conclusioni logiche da premesse empiriche. 

Insomma, vi è un campo del mistero, del non conoscibile, del non spiegabile. E riguarda questioni così importanti, che noi non riusciamo ad accontentarci dell’inconoscibilità: vogliamo andare avanti, farcene comunque un’idea. Poiché lì la ragione non serve, o per lo meno non basta, in linea di principio non c’è abuso intellettuale nell’abbandonarla. E quando abbandoniamo la ragione per addentrarci in questi campi, attiviamo qualcosa che si può a buon diritto chiamare fede. Ad esempio, immaginiamo che vi debba essere qualche stato di cose misterioso  e incomprensibile alle nostre menti, che – se potessimo comprenderlo – spiegherebbe. Fin qui tutto bene.

Ma spesso ci spingiamo a tentare qualche forma di “sistemazione” del mistero, ad esempio supponendo che quello stato di cose sia un essere soprannaturale fatto proprio nel modo in cui alla nostra mente serve immaginarlo perché fornisca una risposta soddisfacente sull’origine dell’universo e della coscienza (un Dio creatore, e insufflatore di anima). Fin qui quasi benino. Ma poi gli attribuiamo alcune caratteristiche più precise: è uno e trino, si è incarnato in una vergine, è risorto dai morti, non vuole che usiamo preservativi. Ed ecco che mistero resta apparentemente la stessa parola, ma in realtà, sottobanco, cambia il tipo di cose a cui viene riferita. Quando si dice che a un certo punto la ragione ci abbandona e restiamo in balìa del mistero, stiamo ancora parlando di mistero in senso proprio. Quando si dice che la fede arriva dove non arriva la ragione, stiamo ancora parlando di mistero, a patto che con “fede” si intenda la generica ammissione che qualcosa ci sfugge e ci supera, e che questo qualcosa potrebbe anche essere immensamente più grande di noi. Ma quando si comincia a descrivere quel qualcosa in termini dettagliati, dov’è finito il mistero? Più che con una misteriosa immensità davanti a cui la ragione non è pertinente, ci ritroviamo con dei modesti dettagli che contraddicono la ragione. 

L’operazione è interessante: prima ci si appella alla vera impotenza della ragione al cospetto dell’inconoscibile, e così si accredita l’idea che vi sia un terreno, il mistero, dove la ragione perde la sua autorità. Si attribuisce il diritto di marcia su quel terreno alla “fede”, inizialmente intesa come slancio della mente arresa al mistero. Ma poi, appena ottenuta la patente di frequentazione del mistero, la fede viene trasformata nella mera invenzione di carabattole per niente misteriose né ulteriori rispetto alla ragione, bensì semplicemente errate e smentite dalla ragione. Tuttavia la parola mistero è ancora lì, e viene usata proprio per proteggere quelle carabattole dalla legittima smentita. Se a qualcuno appare discutibile che esista un dio “persona”, dotato di volontà e di inclinazioni (ad es., sugli umani terrestri, preferenza per i poveri, no fecondazione assistita, matrimonio indissolubile), gli si dice che le sue obbiezioni razionali sono abusive perché quello è il campo del mistero, dove la ragione non può entrare. Se qualcuno sostiene che non si può essere uni e trini, umani e divini, vergini e madri, gli si obbietta che sta cercando di applicare la ragione al mistero. E che il mistero si deve accettare così com’è. Soltanto che quello non è il mistero così com’è: zitti zitti, anche se continuano a chiamarlo “mistero” per rendersi insindacabili, al suo posto hanno messo alcune loro credenze piuttosto provinciali.

Infatti il punto è che – lungi dall’essere il mistero – tutti quegli articoli di fede sono semplicemente delle invenzioni con cui si è riempito lo spazio che era del mistero. Anzi, con cui si è sloggiato il mistero. Invenzioni che di addentrarsi nel mistero non hanno più diritto di quanto ne abbia la ragione. Invenzioni che – a differenza del mistero – sono prodotte dalla mente umana tanto quanto lo è la ragione; ma al confronto della ragione sono molto meno rispettabili, perché sono arbitrarie, e la realtà osservabile le smentisce anziché confermarle. Infatti mentre la ragione scientifica è passabilmente condivisa da tutta l’umanità, le invenzioni di fede che le diverse religioni insinuano nello spazio del “mistero” sono tutte fantasiosamente diverse.

Naturalmente esiste un nome per i casi in cui una fede, anziché adombrare territori che vanno oltre la ragione, contraddice la ragione asserendo – come veri – fatti che la ragione semplicemente smentisce. Questo atteggiamento si chiama superstizione, e infatti nella storia ogni religione ha spesso chiamato così le altre.

Lascia un commento