Esaminiamo ancora una parola che diffonde pregiudizi: sempre più spesso, ciò che è semplicemente sessuale viene fatto passare per sessista. Ad esempio (ma basta sfogliare i giornali per trovarne altri), il 19 febbraio l’edizione siciliana di Repubblica titolava un articolo così: Ragusa, pubblicità sessista per uno scooter: pioggia di proteste.[1] Oltre a Repubblica, hanno dato la notizia con le stesse parole, e in particolare usando tutte il termine sessista, decine di grandi e piccole testate online. Si trattava di questo cartellone:

Una donna seminuda a bordo della moto, accanto a uno slogan volgare. Il sindaco diffida l’azienda e invia un esposto all’istituto di autodisciplina. Indignazione sui social, spiega l’autrice dell’articolo. Tutto abbastanza vero, compreso il fatto che lo slogan è da molti percepito come volgare, perché riferito esplicitamente al sesso. In che senso sessuale significhi volgare, e a quale grado di esplicitezza sessuale inizi il volgare, è ovviamente questione di gusti e di tradizioni; ma è certo che nella nostra particolare civiltà quel che è sessuale è tuttora dai più considerato goffo e di cattivo gusto. Per questo a molti il cartellone non sembra spiritoso, come accadrebbe se la battuta riguardasse qualsiasi altra cosa, ma appare volgare, perché riguarda il sesso.

Tuttavia, a leggere l’articolo, sembra che ci sia un po’ di confusione non solo da parte di chi lo scrive, ma anche dell’amministrazione pubblica che è intervenuta:

In post e commenti viene sottolineata l’irritante inopportunità dello slogan con quel marcato riferimento sessuale. “Abbiamo già inviato una segnalazione all’istituto di autodisciplina pubblicitaria – dice il sindaco di Ragusa – affinché adotti tutti i provvedimenti di propria competenza. L’istituto ha infatti sottoscritto un codice di autodisciplina che consente di bloccare e far ritirare le campagne sessiste o offensive a un apposito organo giudicante, il giurì della pubblicità. Al tempo stesso stiamo procedendo con una diffida nei confronti dell’agenzia pubblicitaria”.

Il concetto di “sessista” e quello di “sessuale” vengono usati come intercambiabili. La diffida nei confronti dell’agenzia pubblicitaria è una cosa molto grave, e naturalmente deve essere giustificata. In questo caso la giustificazione è che si tratterebbe di un messaggio sessista. Però, anche se questa pubblicità è certamente sessuale, e quindi per molti è volgare, in che senso sarebbe sessista? Se sessista non è semplicemente sinonimo di sessuale, ed è bene che non lo sia, ma mantenga un suo senso autonomo, che cosa significa sessista?

Dizionario alla mano, sessista (che in italiano è rifatto per analogia su razzista, nella scia delle analoghe formazioni francese e inglese sexiste e sexist, in parallelo con sessismo) significa ‘che è favorevole o che pratica la discriminazione sessuale’. In altre parole, è sessista ogni atteggiamento che presume o sostiene la superiorità di un sesso sull’altro, oppure che detesta uno dei due sessi, giudicandolo peggiore in base a stereotipi che lo descrivono come inferiore nel suo complesso. Un atteggiamento, cioè, che trascurando le caratteristiche delle singole persone e le loro differenze, ritiene di poterle giudicare male – e di conseguenza trattare – in base al loro appartenere a una categoria, individuata appunto dal sesso.

Questo, aggiungono alcuni dizionari, di fatto avviene più frequentemente a sfavore del sesso femminile e delle persone che vi appartengono. Non si può non essere d’accordo che sia così, perché anche se oggi a parole assistiamo a una gran quantità di sbandieramenti un po’ fessi della superiorità femminile (“le donne sono più intelligenti”; “se le donne governassero il mondo, il mondo sarebbe migliore”; “le donne sono multitasking e gli uomini no”), tuttavia questi atteggiamenti sessisti a favore delle donne sono poco più di una moda verbale, una specie di nuova versione del contentino di far passare le signore per prime dalle porte, mentre il mondo concreto seguita ad essere più favorevole agli uomini.

Quindi la parola è adatta a descrivere tutta una serie di comportamenti, che vanno dai più leggeri e in sé innocui a quelli criminali: discorsi come “le donne non sanno guidare”, preferenze per l’assunzione o la promozione lavorativa degli uomini rispetto alle donne, segregazione o limitazione della libertà della donna ad opera di compagni o genitori gelosi, violenza motivata dalla convinzione che la donna abbia il dovere di subire le esigenze affettive o sessuali dell’uomo. In tutti questi casi è presente, soggiacente e causante la convinzione che la donna sia in qualche senso inferiore.

Tuttavia, a dispetto di questo significato abbastanza chiaro, oggi la parola sessista è sempre più usata per descrivere semplici manifestazioni del desiderio maschile. Non, quindi, atti di violenza (fisica o di altro genere) in cui l’uomo si pone al di sopra della donna e ne sopprime o ne limita la libertà per condizionarne il comportamento a proprio favore, ma semplici esternazioni del desiderio, in cui l’uomo in realtà si mette alla pari della donna perché le comunica il proprio stato interiore, o addirittura la pone al di sopra di sé perché le riconosce il suo potere di attrazione.
A mio parere la levata di scudi contro una pubblicità di contenuto sessuale, attuata definendola sessista, rappresenta questo tipo di uso del termine. Infatti quella pubblicità (come in sé ogni altra allusione al desiderio maschile di accoppiarsi con la femmina) non contiene elementi di svalutazione o di avversione per la donna, ma la rappresenta come bella e attraente. In questo caso la presenta anche come disponibile, cioè come ricambiante in piena libertà il desiderio del maschio. Questo desiderio implica che la donna sia qualcuno a cui il maschio attribuisce valore e potere su di sé. E se il desiderio non trascende nel forzare la donna perché lo assecondi contro la sua volontà, non è in alcun modo sessista, ma semplicemente sessuale. Allo stesso modo, il desiderio di avere un conferenziere a un proprio festival non è violenza contro i conferenzieri, e il contattarlo per fragli l’invito non è violenza, mentre il tentativo di forzarlo a venire a parlare, lo è. Insomma, usare sessista per definire un messaggio sessuale è come usare violenza per definire un invito.

Si potrebbe obbiettare che è sessista una civiltà quando rappresenta sempre la donna come desiderabile sessualmente, e non la rappresenta mai come importante e significativa da altri punti di vista. Ma la nostra civiltà non è più questo. Nella nostra civiltà la donna è ormai rappresentata in tanti modi, e sarebbe abbastanza ipocrita pretendere che fra i tanti venisse abolita la sua rappresentazione come sessualmente attraente. Se poi la donna è rappresentata come sessualmente attraente più spesso dell’uomo, questo dipende dai modi diversi in cui si manifestano il desiderio e l’attrazione fra i sessi nelle due direzioni. Rispetto alle femmine, i maschi sono molto più attratti da aspetti corporei e visivi, per ragioni biologiche ormai arcinote,[2] ignorare le quali può essere solo ignoranza o ipocrisia. Insomma, la nostra civiltà rappresenta il maschio e la femmina in tutti i modi possibili, con delle differenze di distribuzione che corrispondono alle differenze nei modi in cui si attiva il desiderio nei due sessi. Modi naturali in cui non c’è alcunché di male.

A qualcuno di noi la nostra civiltà nel suo insieme può non piacere, ma non è giusto tacciare di sessismo la singola azienda se non produce pubblicità che curino tutti gli aspetti della donna: lamentarsi perché in questo cartellone la donna è rappresentata come desiderabile sessualmente e non anche come persona sportiva o come scienziata non è diverso dal lamentarsi perché in un altro manifesto una donna è rappresentata come persona sportiva o come scienziata, trascurando di rappresentarla anche come sessualmente attraente. Esattamente come davanti alla rappresentazione di una professionista, di una mamma o di una scienziata (e ce ne sono moltissime) non vediamo l’offesa di intendere che le donne non possono essere attraenti, davanti alla rappresentazione di una donna attraente non ha senso vedere l’offesa di intendere che le donne non possono essere professioniste, mamme o scienziate. Vedercela è più una fissazione che cerca il sessismo ovunque può, che non il riconoscimento di un contenuto realmente comunicato dal messaggio.

Insomma, il riferimento alla sfera del sesso non è necessariamente sessista. E potremmo anche disinteressarci di questo genere di comportamenti linguistici, se non fosse che plasmano la mentalità delle persone. In particolare, definendo sessista ciò che è sessuale si presenta il maschio come il nemico naturale della femmina, e viceversa. Vorrei spiegare perché.

Il sesso mette naturalmente in relazione il maschio e la femmina. L’attività sessuale è quella forma di relazione che non può non mettere in relazione il maschio e la femmina. O meglio, potrebbe non metterli in relazione, ma per interrompere questo tipo di relazione fra i due sessi bisognerebbe rinnegare la natura biologica e profonda del maschio e della femmina, e determinare come conseguenza l’estinzione della specie. Chi nel sessuale vede il sessista, cioè il manifestarsi del sopruso da parte di un sesso sull’altro, senza saperlo sostiene che la relazione naturale tra il maschio e la femmina è quella del sopruso. Cioè, che il maschio è per sua natura nemico della femmina. E in che cosa consisterebbe questa inimicizia naturale? Sostanzialmente, nel desiderio. Per queste persone il fatto di desiderare è in sé un sopruso. Il desiderio sessuale è in sé una sopraffazione sessista. Oppure è un sopruso il manifestarlo; ma non c’è differenza, perché un desiderio che non ha diritto di manifestarsi è un desiderio ammissibile solo a condizione di essere frustrato e di rimanere sterile, quindi viene trattato esattamente come se fosse un sopruso in sé.

Naturalmente il desiderio sessuale non è né una sopraffazione sessista né una sopraffazione di altro tipo. Il desiderio sessuale è reciproco, cioè esiste in entrambi i sessi, e negarlo è una falsità. Quando è reciproco anche fra individui, è una delle cose buone della vita. Quando non è reciproco, non per questo disonora una delle parti: che concezione dell’uomo e della donna sarebbe, una concezione secondo cui la loro stessa natura è turpe, e va negata? In effetti, una concezione cristiana; ma ovviamente nel suo lato peggiore, a cui per fortuna non crede più nessuno, e a cui certamente non vorrebbero essere accostati i movimenti femministi. Il desiderio è parte della nostra natura; e se è manifestato senza adottare comportamenti di sopraffazione, è una attestazione del fatto che l’altro ha valore. Non esclude che l’altro abbia valore da ogni altro punto di vista, e attesta che ne ha dal punto di vista sessuale. Questo è importante. Non solo per quanto riguarda la comunicazione pubblica, ma in modo ancora più importante nelle relazioni dirette fra persone, fingere che l’apprezzamento sessuale escluda altri tipi di apprezzamento è malafede, e denuncia ipso facto la debolezza della posizione che si serve di questo “argomento”. Esattamente come apprezzare esplicitamente un conferenziere per le idee che esprime non esclude che possa essere apprezzabile anche perché attraente, o buon cuoco, o buon tennista, così apprezzare qualcuno sessualmente non esclude che possa essere buon cuoco, buon conferenziere o buon tennista. Chi sa di essere buon conferenziere o buon tennista non si offende certo di essere apprezzato come cuoco, o come partner sessuale. Semmai se ne offende chi pensa di non essere né buon conferenziere né buon cuoco né buon tennista, perché teme che ci si sia accorti che il sex appeal è la sua unica virtù.

Comunque: il desiderio sessuale è necessario e benefico. Il desiderio sessuale è fonte di piacere e di gioia, se non lo si scredita presentandolo come sopruso. Quindi è molto grave presentarlo come un sopruso. Naturalmente il desiderio sessuale può in alcuni casi dare luogo a soprusi, ma non per questo è il desiderio a essere un sopruso. Solo una grande superficialità (o una altrettanto grande malafede) può confondere il desiderio con il fatto di usare violenza per accontentarlo. Anche il desiderio di avere una bella casa può indurre ad atti disonesti, ma il desiderio di avere una bella casa non è disonesto.

Frasi come Vienimi dietro non descrivono in nessun modo un manifestarsi del desiderio attraverso il sopruso. Descrivono il reciproco gradimento e il reciproco desiderio. Se questi vengono dipinti come sopruso sessista, quello che avviene è uno screditamento abusivo di qualcosa che invece è bello e buono.

Nella mia esperienza, che certamente è parziale e quindi può anche indurre in errore, ma che propongo perché induce a sollevare una perplessità non senza rilievo, le persone che si ritengono molto attraenti non sono quasi mai offese da queste manifestazioni esplicite del desiderio (s’intende, se non sono accompagnate da dinamiche di potere, e quindi da una forma di violenza). In realtà, anche quando tali manifestazioni non sono rivolte direttamente a loro, ne sono in qualche modo gratificate e lusingate, evidentemente perché ci riconoscono l’azione di forze che conferiscono, alle persone desiderabili come loro, potere, fascino, importanza. Per coloro che si sentono fisicamente desiderabili, questo genere di questioni non è né preoccupante né fonte di indignazione, perché propone soprattutto la questione in definitiva gratificante di come gestire il loro potere.

Più spesso sono offese e arrabbiate, quando il desiderio si manifesta in pubblico con franchezza, proprio le persone che pensano di essere fisicamente meno desiderabili (non importa se essendolo o meno, e sempre che si possa definire in modo non soggettivo la desiderabilità). Certamente non vale di tutte, e sarebbe stupido generalizzare in assoluto; ma probabilmente di alcune persone più inclini a demonizzare il desiderio vale il fatto che nel manifestarsi del desiderio le offende non il sopruso, che in effetti non c’è, ma la sensazione che quel desiderio difficilmente sarebbe destinato a loro. Ecco dunque trovata una ragione per odiare il desiderio: il fatto di esserne esclusi. Screditando il desiderio, le persone che si ritengono poco desiderabili cercano di riposizionarsi al livello di quelle desiderabili, e se possibile ancora più su. Questo perché lo screditamento del desiderio, attuato spacciandolo per un sopruso, fa sì che ciò di cui le altre godono, ciò che le altre suscitano e possono vivere con intensità e soddisfazione (appunto il desiderio), sia considerato un male e non un bene. In questo modo le persone che si sentono escluse dal desiderio possono raccontarsi di non essere da meno, di non essere più infelici, ma anzi più fortunate e perfino le migliori.

Un sospetto, e un pericolo da cui guardarsi tutti, riguarda diversi movimenti che senza dubbio hanno meriti importanti nella lotta ai veri soprusi contro le donne: meriti di sensibilizzazione, denuncia, intervento, difesa, ascolto, assistenza a mille situazioni di difficoltà e di ingiustizia, che purtroppo non possiamo riassumere qui. Ebbene, alcuni di questi movimenti hanno al loro interno diverse anime, alcune splendide; di cui però purtroppo una è anche quella che stiamo descrivendo, e che li porta ad aggredire sommariamente pubblicità come questa, e molte altre manifestazioni dell’attrazione fra i sessi. Organizzazioni ed iniziative essenzialmente buone rischiano di perdere una parte della loro credibilità ogni volta che danno voce alle inclinazioni di persone nemiche del desiderio fra uomo e donna, e fingono che il desiderio sessuale non sia una forza vitale e benefica, ma qualcosa di brutto e colpevole. Quando assumono posizioni indiscriminatamente ostili al desiderio sessuale, questi movimenti rischiano di essere percepiti come sostanzialmente nemici dei maschi, o della vitalità in sé. E invece l’alleanza con i maschi e con i pienamente vitali è preziosa per la causa delle donne.

Insomma, il desiderio, anche quello di cui parla la pubblicità che abbiamo preso ad esempio, viene spesso condannato come il sopruso sessista che non è; perché in realtà le ragioni, anzi le motivazioni per demonizzarlo tanto sono altre e diverse: principalmente, un misto di percepita volgarità e di odio per il manifestarsi di qualcosa che traccia delle differenze fra le persone più desiderate e le meno desiderate, o che si sentono tali. Già Nietzsche nella Genealogia della morale aveva messo in guardia contro questo nascere di fumi moralistici il cui vero movente è riscattare la posizione e l’opinione di sé di chi si sente da meno, per consentirgli di riposizionarsi e di mettere i piedi sulla testa di chi gli sembra valere di più. Ma sono mezzucci. Il desiderio è una cosa meravigliosa, Il sesso è una cosa molto bella, e ben poco di ciò che è sessuale è sessista. Questa invidiosa fola, che è l’identificazione del sesso con il sessismo, alimenta l’inimicizia fra gli uomini e le donne facendo credere che gli uomini siano ostili alle donne per il solo fatto di desiderarle. Quindi, che gli uomini siano costitutivamente e inevitabilmente nemici delle donne. È una forma di raggrinzimento esistenziale di troppe persone, che non fa bene né a loro, né ai rapporti fra i sessi, né alla verità.

Quanto alla volgarità, non ne parleremo qui. Anche se “Vienimi dietro” parla solo di cose misteriosamente belle, e pure divertenti, strettamente connesse con la sopravvivenza degli esseri viventi, in cui non occorrerebbe vedere niente di volgare. Omnia munda mundis, Multa turpia turpibus.

[1] https://palermo.repubblica.it/cronaca/2020/02/19/news/ragusa_pubblicita_sessista_per_uno_scooter_pio ggia_di_proteste-249001102/

[2] Prima di cavarsela con generiche obbiezioni, si leggano almeno questi studi: Robert Trivers, Parental Investment and Sexual Selection, in B. Campbell (ed.), Sexual Selection and the Descent of Man, Chicago, Aldine, 1972; David M. Buss, Strategie sessuali negli esseri umani, In M. Adenzato e C. Meini, Psicologia evoluzionistica, Torino, Bollati Boringhieri, 2006; Louanne Brizendine, Female Brain. Random House, 2006 (ediz. ital.: Il cervello delle donne. Milano, Rizzoli, 2007); Domenica Bruni, Storia naturale dell’amore. Roma, Carocci, 2010.


Il sessismo c’è e si vede. Anche se qualcuno lo nega

di Ingrid Colanicchia

In un recente commento su questo sito, il linguista Edoardo Lombardi Vallauri offre una disamina del concetto di sessismo che mi trova a dir poco in disaccordo.

Il ragionamento di Lombardi Vallauri prende le mosse da un’immagine pubblicitaria affissa a Ragusa che ritrae una donna di spalle in perizoma a cavallo di un motorino (elettrico) e lo slogan “Vienimi dietro. Sono elettrica”. Affissione che ha destato un’ondata di indignazione e contro la quale si è mobilitato anche il sindaco, con una diffida all’azienda e un esposto all’istituto di autodisciplina pubblicitaria, perché ritenuta «sessista».

Ed è questa accusa a costituire un problema secondo Lombardi Vallauri, perché – a suo avviso – questo sarebbe un perfetto esempio di come il concetto di «sessista» e quello di «sessuale» vengano usati come intercambiabili.

Nell’argomentare quanto sostiene, Lombardi Vallauri sembra però dimenticare sia il contesto in cui l’immagine si colloca sia l’humus culturale da cui il nostro immaginario e le nostre rappresentazioni socio simboliche traggono alimento. Una stessa immagine su YouPorn, sulla copertina di un libro, in prima serata su Rai 1 o su un megacartellone pubblicitario piazzato su una strada non sono la stessa cosa e non veicolano lo stesso messaggio. Il contesto è il messaggio, ci hanno insegnato i semiologi.

Scrive Lombardi Vallauri che «oggi la parola sessista è sempre più usata per descrivere semplici manifestazioni del desiderio maschile. Non, quindi, atti di violenza (fisica o di altro genere) in cui l’uomo si pone al di sopra della donna e ne sopprime o ne limita la libertà per condizionarne il comportamento a proprio favore, ma semplici esternazioni del desiderio, in cui l’uomo in realtà si mette alla pari della donna perché le comunica il proprio stato interiore, o addirittura la pone al di sopra di sé perché le riconosce il suo potere di attrazione. A mio parere la levata di scudi contro una pubblicità di contenuto sessuale, attuata definendola sessista, rappresenta questo tipo di uso del termine».

Francamente è davvero difficile capire in che modo questa immagine fornisca l’esempio di un «uomo che si mette alla pari della donna perché le comunica il proprio stato interiore o addirittura la pone al di sopra di sé perché le riconosce il suo potere di attrazione». Soggetto qui è il desiderio maschile, e la donna sta lì solo come oggetto per soddisfarlo. E questa riduzione (elevazione, secondo Lombardi Vallauri) a oggetto del desiderio non fa che alimentare una subcultura di cui la nostra società è intrisa: una subcultura che reifica le donne e reificandole le rende altro da sé, qualcosa di diverso dall’umano universale e dunque passibili di violenza, oppressione e chi più ne ha più ne metta. In questo senso, l’immagine cui fa riferimento Lombardi Vallauri – peraltro espressione della straordinaria scarsità di immaginazione dei pubblicitari: non si vede infatti cosa c’entri una ragazza in perizoma con un motorino, in che senso e per quali associazioni di idee dovrebbe indurre all’acquisto del prodotto in questione – è precisamente un’immagine sessista. Perché da un lato è frutto e, dall’altro, alimenta questo circolo vizioso.

Scrive ancora Lombardi Vallauri: «Quella pubblicità (come in sé ogni altra allusione al desiderio maschile di accoppiarsi con la femmina) non contiene elementi di svalutazione o di avversione per la donna, ma la rappresenta come bella e attraente. In questo caso la presenta anche come disponibile, cioè come ricambiante in piena libertà il desiderio del maschio».

In un mondo ideale in cui le rappresentazioni del maschile e del femminile fossero molteplici e variegate questa affermazione non mi creerebbe nessun problema. Ma tra il mondo ideale e quello in cui viviamo, tanto più in questa materia, c’è parecchia differenza e queste immagini che riducono le donne a oggetto del desiderio maschile (quindi comunque funzionali a un altro soggetto, il maschio) sono quasi le uniche che si rinvengono nella rappresentazione pubblica (insieme a quelle speculari della brava massaia).

L’accento posto poi sulla «disponibilità» della donna (e la scelta stessa di questa parola) accredita ancora una volta l’idea di una funzionalità del (sog)oggetto donna: la disponibilità è un atto passivo, non è espressione del desiderio come Lombardi Vallauri sembra invece voler sostenere. Volendo anche scomodare il dizionario, sullo Zanichelli alla voce «disponibile» troviamo: «Di cui si può disporre. (est.) Libero, vuoto».

Lombardi Vallauri non concorda sul fatto che le rappresentazioni del maschile e del femminile non siano variegate e afferma che nella «nostra civiltà la donna è ormai rappresentata in tanti modi, e sarebbe abbastanza ipocrita pretendere che fra i tanti venisse abolita la sua rappresentazione come sessualmente attraente».

In realtà tutta questa pluralità di rappresentazioni non c’è. Dati alla mano.

Come rilevato da più ricerche (per esempio Irene Biemmi, Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delle elementari, Rosenberg&Sellier, 2010; e Cristiano Corsini e Irene Scierri, Differenze di genere nell’editoria scolastica. Indagine empirica sui sussidiari dei linguaggi per la scuola primaria, Nuova cultura, 2016) nei libri di scuola la rappresentazione dei generi è ancora fortemente stereotipata e ben poco diversificata. Per limitarci a uno degli esempi riportati da Biemmi: «Il tema del lavoro è quello che presenta la maggiore discriminazione nei confronti delle donne: mentre ai maschi viene associata un’ampia gamma di tipologie professionali, le donne si vedono attribuire un ristretto numero di possibilità lavorative, peraltro economicamente e socialmente poco appetibili. La maggior parte delle donne viene infatti indicata come casalinga o al massimo come insegnante».

Nei mezzi di informazione le donne sono interpellate soprattutto perché portatrici di un’esperienza o come vox populi, mentre solo nel 20% dei casi come esperte o spokeperson (si veda a riguardo l’ultimo Global Media Monitoring Project, quello del 2015 al seguente link: bit.ly/3aFCZeH).

Per quanto riguarda la televisione più in generale non credo ci sia neppure bisogno di portare dati a sostegno di quanto dico. È sotto gli occhi di tutti.

Scrive ancora Lombardi Vallauri: «A qualcuno di noi la nostra civiltà nel suo insieme può non piacere, ma non è giusto tacciare di sessismo la singola azienda se non produce pubblicità che curino tutti gli aspetti della donna».

Ma il problema non è che non vengano rappresentati tutti gli aspetti della donna (che poi ognuna avrà i suoi di aspetti, non credo esistano degli aspetti della donna in quanto tale) ma quella subcultura che porta ad associare un motorino elettrico a un (annunciato) atto sessuale.

L’affermazione di Lombardi Vallauri che «il riferimento alla sfera del sesso non è necessariamente sessista» è invece pleonastico: coloro che si occupano di sessismo nel mondo della comunicazione la differenza, ovvia, ce l’hanno molto ben chiara.

Conclude Lombardi Vallauri che: «Il desiderio è una cosa meravigliosa, il sesso è una cosa molto bella, e ben poco di ciò che è sessuale è sessista. Questa invidiosa fola, che è l’identificazione del sesso con il sessismo, alimenta l’inimicizia fra gli uomini e le donne facendo credere che gli uomini siano ostili alle donne per il solo fatto di desiderarle. Quindi, che gli uomini siano costitutivamente e inevitabilmente nemici delle donne».

Il desiderio è una cosa meravigliosa, il sesso è una cosa molto bella e se non vogliamo essere rappresentate sempre e solo come oggetti del desiderio maschile non significa che siamo sessuofobe. Ma che vorremmo pubblicitari un po’ più creativi. Per uno spazio pubblico che non alimenti una subcultura già così pervasiva.


Risposta a ‘Il sessismo c’è e si vede. Anche se qualcuno lo nega’

di Edoardo Lombardi Vallauri

Ingrid Colanicchia, che ringrazio per lo stimolo dialettico, introduce diverse considerazioni critiche e cita alcune fonti importanti e molto note sulla condizione della donna nella comunicazione pubblica e in particolare in quella legata all’educazione in Italia. Per quanto riguarda invece la tesi che vuole dimostrare riguardo al mio intervento, basa la sua argomentazione su alcuni assunti, poco resistenti a una breve analisi, che possiamo così riassumere e commentare:

1. Siccome siamo in un contesto in cui molte cose in cui è rappresentata una donna come oggetto del desiderio sono sessiste, allora tutte le cose in cui è rappresentata una donna come desiderabile sono sessiste.

Si noti infatti che il sessismo dell’immagine considerata non è da Colanicchia argomentato in sé, ma è presentato come prodotto dal “contesto”, cioè dall’humus culturale da cui il nostro immaginario e le nostre rappresentazioni socio simboliche traggono alimento. Questo atteggiamento però è circolare, perché se ogni immagine sessuale in sé non sessista si giudica sessista perché ce ne sono altre così, perfino un contesto di quasi tutte immagini in sé non sessiste finirebbe per essere giudicato sessista, e praticamente per definizione nessuna immagine sessuale potrebbe più non essere sessista. Figuriamoci un contesto come il nostro in cui, oltre a immagini non sessiste come questa, ce ne sono anche moltissime che sono sessiste per davvero: diventa veramente impossibile non giudicare sessiste tutte le manifestazioni del desiderio sessuale, con evidente falsità. Il mio intervento denuncia precisamente i danni molto gravi di questo atteggiamento, che la risposta di Colanicchia conferma esistere in modo lampante.

In ogni caso, io concordo con Colanicchia che viviamo in un mondo in cui ci sono moltissime rappresentazioni sessiste della donna, ma discordo dall’idea che per questo motivo siano sessiste tutte le sue rappresentazioni sessuali. E aggiungo che purtroppo questo debordare dell’accusa e condanna per sessismo su ogni manifestazione del desiderio sessuale non giova alla comune causa antisessista, perché la trasforma in qualcosa di acritico e prepotente, e gli guadagna inutilmente perplessità e perfino discredito presso molte persone abituate a usare il discernimento.

In molti teniamo alla parità fra donne e uomini da realizzarsi davvero, cioè necessariamente con il concorso convinto di entrambi, e non con assolutismi che, tenendo conto esclusivamente dell’irritazione di una parte, rendano difficile la sintonia con l’altra e quindi dei passi avanti veri. Fingere che il desiderio (e per questo la sua rappresentazione) sia intrinsecamente sessista è chiaramente un ostacolo alla collaborazione fra persone, se pensiamo che le persone siano desideranti e pensanti.

2. Questo messaggio è sessista perché compare in un certo preciso contesto (il cartellone).

Ci ricorda Colanicchia che i semiologi hanno insegnato che il contesto è il messaggio. E dice: Una stessa immagine su YouPorn, sulla copertina di un libro, in prima serata su Rai 1 o su un megacartellone pubblicitario piazzato su una strada non sono la stessa cosa e non veicolano lo stesso messaggio.

Nella sua visione, dunque, l’immagine e il testo della pubblicità in questione sono sessisti perché su un cartellone, e non lo sarebbero in un contesto diverso? Quale? YouPorn? La copertina del libro? La prima serata TV? Se in alcuni di questi casi Colanicchia è d’accordo con me che non si tratta di un messaggio sessista, allora la pensiamo praticamente nella stessa maniera: abbiamo solo divergenze sul ruolo di alcuni contesti, ma l’essenziale, cioè che questo non sia un messaggio intrinsecamente e necessariamente sessista, lo condivide anche lei.

Altrimenti, se Colanicchia pensa che il messaggio sia sessista in tutti i contesti che cita, bisogna concluderne che la sua affermazione sull’insegnamento dei semiologi e sul ruolo decisivo del contesto serve solo a distrarre dall’impossibilità di argomentare qualcosa sul supposto intrinseco sessismo del messaggio in questione. Insomma, si scoprirebbe che era una palla in tribuna.

3. La donna della pubblicità in esame è passiva.

Scrive Colanicchia che Soggetto qui è il desiderio maschile, e la donna sta lì solo come oggetto per soddisfarlo. Questa ricezione è molto interessante, perché Colanicchia sembra addirittura non accorgersi che il messaggio rappresenta la donna, non l’uomo, come attiva e propositiva. È di lei, non di un uomo, la “voce” che invita (sia pure facendo una battuta da due soldi mediante il doppio senso con il salire sul motorino) a fare qualcosa insieme. Dico che quella di Colanicchia è una ricezione interessante, perché rivela la forza dei pregiudizi che filtrano le cose. Se vediamo la donna come passiva e come oggetto anche quando è rappresentata oltre ogni ragionevole dubbio come attiva e come soggetto, è perché abbiamo il pregiudizio che in qualsiasi incontro sessuale l’uomo sia il soggetto e la donna l’oggetto. Solo con questo pregiudizio, si può non accorgersi che in un messaggio come quello in questione la donna è invece rappresentata come libera e attiva. Inutile dire che se uno vede la donna come oggetto perfino quando è rappresentata nell’atto di fare un invito, gli sembrerà anche che Queste immagini che riducono le donne a oggetto del desiderio maschile sono quasi le uniche che si rinvengono nella rappresentazione pubblica: chi chiama tutti gli insetti “scarafaggi”, dirà che tutti gli insetti che vede in giro sono… scarafaggi.

Naturalmente percepire la donna sempre come oggetto e mai come soggetto ogni volta che c’è di mezzo il sesso è un pregiudizio antico e pervasivo nella nostra società, e quindi non c’è niente di colpevole ad esserne ancora permeati; ma è una visione falsata di che cosa sia l’incontro fra l’uomo e la donna, che continua a danneggiare moltissimo i rapporti fra i sessi, e quindi anche la causa femminista. Interventi come il mio a proposito della ricezione di questa pubblicità tentano proprio di metterla in discussione.

4. Perfino questo: la parola disponibile rivelerebbe un ruolo passivo della donna.

Per Colanicchia, lo dimostrerebe il fatto che sullo Zanichelli alla voce «disponibile» troviamo: Di cui si può disporre. (est.) Libero, vuoto“. Possibile che Colanicchia non si sia accorta che (anche sui dizionari, ma soprattutto nella lingua che tutti parliamo) disponibile significa, quando riferito a persona (cito dal Sabatini-Coletti, ma è il senso a tutti noto della parola), «che risponde positivamente a richieste d’aiuto, a iniziative, a proposte ecc.» e «aperto, propenso, pronto a dedicarsi a qualcosa»? Se per sviluppare un ragionamento che funzioni si devono oscurare addirittura i contenuti che completano immediatamente quello che si cita, contenuti che capovolgono del tutto l’effetto della citazione “depurata”, vuol dire che il ragionamento va riconsiderato.

5. La scarsa immaginazione dei pubblicitari, che fanno troppo spesso leva sul desiderio per attirare gli acquirenti, dimostrerebbe qualcosa sul sessismo di questa immagine.

No, la straordinaria scarsità di immaginazione dei pubblicitari, che vorremmo un po’ più creativi (Colanicchia non vedein che senso e per quali associazioni di idee una ragazza che formula un invito sessuale porebbe indurre all’acquisto del prodotto in questione), insomma la pochezza dei pubblicitari, non dimostra proprio niente sul sessismo di questa pubblicità. Può servire (a Colanicchia come ad altri) a denigrare questa immagine e ad attirare antipatia su di essa, procedimento che si rende necessario (a chi voglia accusare il messaggio di sessismo) proprio perché non si riesce ad argomentare direttamente che sia sessista. Se si riuscisse ad argomentare che è sessista, non ci sarebbe bisogno di reclutare argomenti denigratori pur veri ma non pertinenti, come quello della scarsa immaginazione dei pubblicitari.

Ringrazio ancora Ingrid Colanicchia per avermi fornito, con il suo testo ricco di obbiezioni, l’occasione di sviluppare meglio alcuni aspetti rilevanti del tema a cui, sia pure da posizioni diverse, evidentemente teniamo entrambi, e che nel mio primo intervento erano rimasti in ombra.

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