Una piazza, un castello, uno spettacolo teatrale, la presentazione di un libro, una mostra o una pinacoteca, la proiezione di un film o una conferenza, non si rovinano se ci va molta gente. Restano quello che sono. Se ci sono molte persone può essere meno piacevole visitarla, ma il valore della cosa resta quello. Invece la pozza di un torrente con una piccola cascata, la cima di una montagna, una caletta fra gli scogli, una radura nel bosco, si rovinano se ci va molta gente. Non solo perché la molta gente tende a lasciare tracce e residui, e perché l’intenso calpestìo e il percorrimento in generale sono usuranti; ma proprio perché con la presenza di molta gente i luoghi selvaggi perdono ciò che li rende notevoli, cioè la loro natura selvaggia e non interferita dall’uomo. Non solo diventa meno piacevole visitarli, ma proprio il valore della cosa cessa di essere quello che era, perché la cosa cessa di essere quella che era.
Quindi non ci sono controindicazioni a invogliare le persone a frequentare luoghi e iniziative culturali; non si fa danno facilitando l’afflusso di pubblico ai prodotti e alle iniziative notevoli dell’uomo. E questo genere di esperienze educano chi le frequenta a comprendere meglio se stessi, gli altri, le cose.
Anche la natura selvaggia e incontaminata educa le persone a comprendere meglio se stesse e le cose, ma a una condizione: che sia conosciuta, a volte conquistata, nella sua condizione autentica, facendosi plasmare dal suo modo di essere. La natura ti educa quando la scopri attraverso un processo di ricerca, quando impari i modi per viverci dentro, quando affronti e sopporti le sue difficoltà. La natura non ti educa quando qualcuno suscita una tua blanda curiosità per essa attraverso avvisi pubblicitari, quando ti ci conduce sostituendoti nel sapere quello che occorre per affrontarla in modo sicuro, quando è accessoriata di indicazioni, suggerimenti, vanterie di chi l’ha modificata per far sì che diventi percorribile anche senza avere sviluppato nessuna sintonia o preparazione. Non ti educa insomma quando è una natura facilitata, trasformata in oggetto di consumo, non più selvaggia, non più incontaminata, cioè snaturata.
Si obbietterà che invogliando a visitare i luoghi naturali e facilitando l’accesso ad essi di grandi masse di persone si possono guadagnare soldi, e che coloro che abitano vicino a luoghi meravigliosi hanno dunque il diritto di sfruttare quelle ricchezze per guadagnare soldi. Nella nostra civiltà guadagnare soldi, produrre ricchezza, ha il potere di giustificare le cose. Tenendo conto delle dovute differenze, il ragionamento è però lo stesso di dire che chi ha una figlia, una sorella o una madre meravigliosamente belle ha il diritto di sfruttarle per guadagnare soldi. Ebbene, se uno ha una bella madre o una bella sorella, e la prostituisce, cioè, facendole violenza ci conduce sopra persone che senza la sua intermediazione non potrebbero farsi un giro su di lei (e che in cambio gli danno del denaro), noi lo disapproviamo. Se un altro vive nei pressi di una bellezza naturale difficile da percorrere, e la prostituisce, cioè, facendole violenza ci conduce sopra persone che senza la sua intermediazione non potrebbero farsi un giro su di lei (e che in cambio gli danno del denaro), noi lo lodiamo e lo aiutiamo con fondi pubblici. Ma perché si ha meno diritto di vendere la sorella che di vendere la natura incontaminata?
Coloro che convogliano fiumi di turisti nei luoghi incontaminati, coloro che vi costruiscono vie di accesso e strutture di soggiorno per renderli comodi e cancellare la differenza fra questi luoghi e un qualunque luogo di passaggio o addirittura agglomerato di residenze umane, coloro che facilitano il percorrimento di gole di torrente trapanando la roccia per installarci dei sostegni e portarci persone qualsiasi appese a corde e moschettoni in cambio del loro denaro, coloro che fanno la stessa cosa su montagne e in territori che furono difficili da raggiungere, coloro che svuotano motonavi in delicate, nascoste calette o vi conducono drappelli di canoe, insomma coloro che vendono le bellezze della natura vicino a cui abitano in cambio di denaro, mi sembrano avere molto in comune con coloro che prostituiscono le donne a loro vicine, cioè facilitano l’accesso alla loro mamma o alla loro sorella in modo che ad esse non potrà accostarsi soltanto chi le avrà sapute meritare e conquistare, ma chiunque paghi l’accesso ad esse con denaro. Anche persone che senza provare rispetto e senza dargli alcuna importanza ne fanno un uso occasionale.
Coloro che, invece di fare un lavoro in cui generano cose utili, fanno il lavoro di prostituire in cambio di denaro luoghi selvaggi, rovinano quei luoghi incontaminati rendendoli non più selvaggi, non più incontaminati, non più una conquista riservata a chi ha un atteggiamento di ricerca, di autodisciplina, di crescita nelle capacità necessarie, e di rispetto per la meravigliosa assenza dell’uomo da quei luoghi.
Oltre a piccole ditte che propongono e facilitano esplorazioni e trekking, praticano questo miope teppismo le amministrazioni locali, che nella speranza di attrarre consumatori sul loro territorio pubblicano in rete le istruzioni per raggiungerne i luoghi ancora incontaminati, mettendoli improvvisamente a disposizione di decine di migliaia di persone, e abbandonandoli alla devastazione del popolo dei selfie. Sarebbe molto meglio se a raggiungere la natura selvaggia fossero i pochi veramente motivati, coloro che ci tengono davvero e a cui l’idea sorge internamente, non dalla lettura di un post o di una pubblicità. Coloro che coltivano l’ammirazione e l’amore per la natura nella loro vita sono disposti a cercarla senza scorciatoie e accessi facilitati, la sfiorano avendo cura di non farle del male, e non lasciano traccia del loro passaggio. Il popolo dei selfie non ha veramente bisogno di incontrare la natura selvaggia: quando però viene condotto sul posto dalle informazioni in rete e dai servigi dei facilitatori venali, difficilmente avrà la sensibilità di chi l’ha scoperto esplorando con perdurante curiosità, impegno e fatica. Conquistare un luogo con perseveranza e bravura induce a rispettarlo. Trovarselo pubblicizzato e messo a disposizione come se fosse un qualsiasi angolo di strada o un centro commerciale, no. Quindi il popolo dei selfie convogliato dalle pubblicità non lascia il posto come l’ha trovato, e per la soddisfazione di esibirsi diffonde sui social le informazioni che permetteranno ad ancora più persone casuali di affollare il luogo che fu perfetto.
In cambio di denaro (o di piccole soddisfazioni personali), questo nuovo tipo di mezzano pubblico o privato trasforma i luoghi straordinari in luoghi banali, perché la straordinarietà di un luogo incontaminato è il suo essere incontaminato, non certo la presenza di una cascata un po’ più alta o di una roccia con una forma un po’ più curiosa. Non soltanto i luoghi che contengono qualche elemento raro e spettacolare, ma ogni pianura, ogni collina, ogni palude, la riva di ogni mare, se risparmiata dall’uomo sarebbe ed è di una bellezza indicibile. È da fessi credere che la bellezza della natura stia in qualche suo presentarsi più eccezionale, per cui se c’è la grande cascata o la parete dolomitica il luogo è invulnerabilmente bello e prezioso, qualunque uso se ne faccia. È una mentalità da cartoline o da Guinness dei primati, che già da sola dimostra la non comprensione di che cosa ci sia di veramente prezioso nella natura.
Il lessico con cui quelli che vogliono cavar denaro dalla natura selvaggia descrivono i loro interventi (e non fa per niente eccezione il nefasto finanziatore pubblico ed europeo) è rivelatore: potenziare la fruizione delle bellezze naturali, rilanciare luoghi di grande fascino, valorizzare il patrimonio paesaggistico, riqualificare i percorsi di montagna, promuovere la conoscenza di ambienti incontaminati, recuperare le risorse naturali, nuove vocazioni per luoghi meravigliosi, sono tutti luridi eufemismi creati per camuffare ciò che effettivamente accade; cioè sono gli strumenti di una retorica truffaldina che, conoscendo la volgarità delle proprie intenzioni, non osa chiamarle apertamente con il loro nome: cioè, mettere a reddito anche i pochi preziosi luoghi rimasti intatti del nostro ormai edificatissimo, percorsissimo paese.
Alcuni di costoro poi si pentono, precisamente quando hanno rovinato il luogo al punto che non possono più sfruttarlo; e versano lacrime di coccodrillo, come ad esempio nel caso della piscina naturale “chiusa per sovraffollamento” a Ussassai. Altri non sembrano pentirsi granché, come le amministrazioni altoatesine del turismo industriale di montagna: si veda ciò che hanno fatto, ad esempio, al lago di Braies.
Tornando alla domanda di poco sopra: perché si ha meno diritto di prostituire la sorella che di prostituire la natura incontaminata? La risposta più ovvia è che la sorella è un essere umano, quindi senziente, che può soffrire e che ha il diritto di non subire soprusi. L’umanità invece ha sempre considerato la natura e il paesaggio come degli oggetti disponibili, da usare. Questo modo di vederli ha mostrato la sua inadeguatezza. Ormai è chiaro, e resta solo da abituarsi all’idea (ma va fatto presto), che invece sono entità fragili, capaci di soffrire, con il diritto a non essere rovinate, e che sono preziose prima di tutto in quanto tali, e poi anche per la comunità umana.
Articolo originariamente pubblicato da Il Mulino