La parola sport non è certo sempre usata in modo fuorviante, ma qualche volta sì: per via del suo senso molto positivo c’è chi cerca di annettersela pur facendo altro. Ad esempio, ci sono molti negozi che si definiscono “di sport” e che dedicano agli attrezzi e all’abbigliamento tecnico uno spazio esiguo al paragone di quello che riservano all’abbigliamento da città di sapore sportivo. Certamente questo riflette il gusto del pubblico, perché quelli che vogliono vestirsi in modo attraente sono molto più numerosi di quelli che vogliono fare sforzo fisico. 

Un altro aspetto dell’eccessiva facilità con cui ci si mette in bocca la parola sport, è il tifo. Si battezzano esercizi con nomi come Bar dello Sport o Chiosco degli Sportivi, intendendo con “sportivi” non i praticanti, ma gli spettatori appassionati di una squadra di calcio. E fra gli sport praticati, proprio il calcio merita un discorso a sé per la sua suprema popolarità, che – cercheremo di mostrare – non è affatto indipendente dal suo grado di sportività. 

Dal punto di vista delle prestazioni atletiche e tecniche che richiede, il calcio è certamente un grande sport. Ma lo è un po’ meno, e quindi merita un po’ meno di essere descritto con questa parola, dal punto di vista di uno dei capisaldi della sportività, cioè l’ideale olimpico alla De Coubertin, che auspica la vittoria del migliore. Non ci riferiamo alle note storie di corruzione intorno al calcio, che peraltro affliggono anche altri sport; ma proprio al modo in cui è strutturato il gioco stesso.[1]

Cercheremo di mostrare – in una serie di passaggi – che la ridotta coincidenza del calcio con il concetto di sportività può essere fatta risalire al modo in cui il calciatore ha diritto di toccare la palla, e più in particolare al modo in cui le regole del gioco stabiliscono il grado di controllo che il calciatore ha sulla palla e su ciò che intende farci. 

Nel basket la palla si può afferrare e tenere con le mani: il giocatore che è in possesso di palla ne ha un controllo tale, che può essere disturbato solo in misura modesta. Infatti nel basket succede che quasi sempre chi prova a togliere la palla a un altro gli tocca le mani e commette fallo.

Nel tennis la palla viene trattata mediante uno strumento efficacissimo: la racchetta è stata inventata e perfezionata per rendere possibile un grande controllo sulla pallina. La possibilità di determinare la traiettoria di una palla da tennis con una racchetta è senz’altro superiore a quella che si può avere a parità di bravura con un piede calzato da una scarpa da calcio su un pallone di cuoio. Ad esempio, due ragazzini qualsiasi, se si mettono con due racchette da tennis in un prato riescono a restituirsi al volo una pallina molte volte di seguito; mentre è molto più difficile fare la stessa cosa calciandola.

Insomma: il calcio è uno sport che prevede un controllo molto basso sulla palla, perché è chiaro che siamo più bravi a fare le cose con le mani che con i piedi. Da questo fatto discende che nel calcio si ha una altapossibilità di interdizione. Nel basket la palla è così facile da difendere, che chi vuole distruggere l’azione intrapresa da un altro è molto svantaggiato. Questo fa sì che si vada molto spesso a meta: i punteggi finali di una partita di basket sono sempre dell’ordine di varie decine di canestri per parte. Si fanno punti continuamente perché chi prende palla, se è un po’ bravo, è molto difficile da fermare.

Il basket è uno degli sport di palla tatticamente più simili al calcio, perché prevede due squadre che si mescolano sul campo contrastandosi; invece nel tennis (e in altri sport di palla) ognuno sta dalla sua parte. Quindi nel momento in cui interagisce con la palla il tennista è indisturbato: l’avversario non può andare lì e contrastarlo. Il risultato di tutto questo è che sia nel basket che nel tennis si vedono continuamente dei gesti tecnici bellissimi, perché nel primo l’azione è poco disturbata, nel secondo non lo è per niente. Nel calcio invece succede che io avanzo con la palla, magari sono bravissimo, ma basta che l’altro me la tocchi e tutto quanto va all’aria; per di più, di fatto l’altro con una certa facilità può colpire anche me. Quindi nel calcio è molto più raro che si veda un’iniziativa portata a perfezione e compimento, perché di continuo prevale l’interdizione. Questo rende le partite di calcio più povere di quelle di basket o di tennis dal punto di vista della qualità tecnica di ciò che è dato vedere (ma non dal punto di vista emotivo, come chiariremo fra poco). 

Conseguenza di tutto questo è che (per restare ai nostri esempi, ma si potrebbe dire lo stesso di molti altri sport) nel basket si va a punti molte più volte che nel calcio; e anche nel tennis si fa punteggio in continuazione: le regole sono fatte in modo che se uno è più bravo fa un punto dopo l’altro, e quindi alla fine della partita si è realizzato un grande accumulo di punti. I punteggi del tennis poi sono basati sull’accantonamento del vantaggio ogni volta che questo arriva a sei frazioni, ciascuna delle quali richiede di arrivare a quattro punti con almeno due di scarto. Quindi si accumulano i risultati di una ripetuta superiorità fino al raggiungimento di ciò che è richiesto per vincere; ed è molto difficile che uno possa prevalere se non è veramente il più forte.

Dunque: nel calcio il basso controllo della palla e la grande facilità di interdizione portano all’estrema rarità dei punti segnati: perché è molto più difficile segnare, che impedire di farlo. I punteggi finali delle partite di calcio sono i più bassi fra tutti gli sport: Lo 0-0 e l’1-0 sono frequentissimi, e punteggi sopra il 3 sono molto rari; mentre nel basket, tipicamente, i risultati si avvicinano o oltrepassano la soglia dei 50 canestri per parte, e nel tennis il numero minimo di scambi che si devono vincere per aggiudicarsi una partita è di una cinquantina (nella pallavolo, ad esempio, qualcuno di più). Questo comporta che il risultato di una partita di calcio sia molto meno prevedibile. Negli altri sport chi è più forte accresce progressivamente il suo vantaggio: se uno gioca meglio, un po’ alla volta si ritrova con molti più punti dell‘avversario, e quindi diventa sempre più difficile da raggiungere. Non così nel calcio: il più forte, pur giocando meglio, può benissimo restare bloccato sullo 0-0 o accumulare un vantaggio minimo come l’1-0.

Quindi nella pallacanestro e nel tennis (e in molti altri sport) succede che se uno è più forte quasi sicuramente vincerà; invece nel calcio se uno è più forte rischia sempre, perché potrebbe benissimo pareggiare o perdere la partita. Fare gol è così difficile che al limite uno può giocare meglio per novanta minuti ma non riuscire a segnare, mentre la squadra più debole, per una serie di circostanze, ficca una volta la palla in rete e vince. In altre parole, nel calcio una fluttuazione statistica può decidere facilmente l’incontro. Certo, nel basket e nel tennis il più debole può fare dei punti che non riflettono esattamente i reali valori in campo, ma comunque questi verranno subissati dalla grande maggioranza dei punti che il più forte accumula in modo costante.

Insomma, in ogni singola partita di calcio può benissimo succedere che il più debole riesca a prevalere.[2] Questo ha un effetto semplice e importantissimo: che nel calcio è molto più possibile parteggiare, cioè tifare. E infatti c’è molto più tifo calcistico che di ogni altro sport. Se sono tifoso della squadra più debole, nel basket vado a vedere la partita con la quasi certezza di perdere; nel tennis ancora di più. Nel calcio invece vado con una certa speranza di vincere o di pareggiare; ovvero, ogni singola partita può benissimo premiare il più debole e non il più forte.

È lo sport meno meritocratico, quello dove il più forte ha meno certezza di imporsi. Si tratta di uno stato di cose ingiusto, ma importantissimo per la popolarità di questo gioco, perché significa che tutti, anche quelli il cui cuore non appartiene per così dire alla Juventus, possono parteggiare ed emozionarsi. Ogni appassionato che va alla partita di calcio può sperare, cioè può coinvolgersi pienamente anche dal punto di vista emotivo, e non solo tecnico. 

Intorno al tennis c’è ben poco tifo, perché tanto se stai per il più debole, sai che lui perderà contro quello più forte; e in un certo senso te lo auguri, perché lo spirito sportivo è che vinca il migliore. Lo spirito del calcio invece è che vinciamo NOI. Si va allo stadio per parteggiare, non perché trionfi il merito sportivo. Il calcio dunque è lo sport più popolare perché chiunque può andare allo stadio sperando di vincere anche se la sua squadra è nettamente la più debole: cioè è il più popolare perché è quello più ingiusto. Negli altri sport tende a realizzarsi l’ideale olimpico che auspica la vittoria del migliore; nel calcio questo ha più probabilità di non accadere.

Che l’intimo spirito del calcio sia alimentare l’incertezza sulla vittoria del più forte, sembra confermato da alcuni elementi sconcertanti nel regolamento del gioco stesso. Alcune regole sembrano studiate per ottenere un risultato il più possibile ingiusto: cioè tendono a evitare quanto possibile che giocare meglio garantisca la vittoria. Insomma, sono regole che favoriscono il più debole e, quel che è peggio, il più scorretto.

Questo in moltissimi sport sarebbe eresia assoluta. Per esempio, nel tennis si fanno i tabelloni dei tornei con il sistema delle teste di serie. Cioè, mettendo all’inizio i più forti contro i più deboli si evita che i migliori incontrandosi verso l’inizio della competizione possano eliminarsi a vicenda. Non si fa un semplice e democratico sorteggio, ma si favoriscono i più forti rimandando per loro gli incontri difficili e dandogli la possibilità di eliminare subito i più deboli. Il tennis è uno sport fortemente meritocratico, che premia chi è più forte anche oltre la semplice equità di trattamento: non mette tutti i giocatori alla pari, ma favorisce fin dall’inizio i più meritevoli.

Il calcio invece favorisce il meno capace; e addirittura, contro chi tenta di compiere un gesto sportivo di valore favorisce chi adopera mezzi sleali per impedirglielo. Per esempio, come viene punito un fallo nel calcio? Io sto avanzando palla al piede in una situazione tatticamente favorevole perché la progressione della mia squadra è veloce e abbiamo pochi avversari davanti: qualcuno mi fa un fallo, cioè interrompe la mia azione in maniera scorretta e potenzialmente pericolosa. Come viene “punito”? Così: la palla ritorna a me, ma in una condizione tatticamente peggiore, perché la squadra di chi ha fatto il fallo ha il tempo di riorganizzarsi. Perciò chi ha commesso il fallo viene premiato, perché ottiene un reale vantaggio tattico; mentre chi ha subito il fallo viene leggermente punito.

In molti sport, per questo problema esistono dei correttivi. Perfino nel calcio a cinque; ma non nel calcio.[3] Nel basket, ad esempio (e in modo simile nel calcetto), il fallo viene punito non soltanto restituendo la palla a chi ce l’aveva; ma soprattutto, quando i falli si accumulano (arrivando a 5) i giocatori fallosi devono lasciare il campo, e inoltre si va direttamente al tiro a canestro (il cosiddetto tiro libero), cosa che invece nel calcio avviene soltanto se il fallo è commesso in area di rigore. I rigori nel calcio sono rarissimi proprio perché sono gli unici casi di fallo veramente punito, e quindi i giocatori si astengono dal causarli; al contrario tutti quelli commessi fuori dall’area vengono leggermente premiati, e quindi vengono compiuti continuamente, con danno grave della giustizia, della decenza, dello spettacolo e, appunto, della sportività. Insomma, la disciplina dei falli è concepita in modo tale da ostacolare chi gioca meglio, dando il massimo possibile di chances al più debole o al più disonesto.

Così, nel complesso, se chiunque può andare allo stadio ed emozionarsi al massimo tifando la squadra più debole, è perché essa mantiene serie possibilità di prevalere grazie all’importanza del caso in partite con punteggi molto bassi, e grazie all’iniquità delle regole del gioco. Insomma nel calcio l’equità sportiva viene sacrificata all’intensità emotiva. E la possibilità per tutto il pubblico di coinvolgersi emotivamente viene anteposta anche alla qualità tecnico-sportiva dello spettacolo. Senza irregolarità si vedrebbero molte più cose belle: ci sarebbero continuamente anche nel calcio dei gesti tecnici e atletici completati, portati a compimento magistralmente da giocatori non ostacolati. Invece in questo sport è sempre tutto rotto, interrotto, distrutto; perché giocando con i piedi distruggere è più facile, e perché in realtà fare fallo conviene quasi sempre: continuamente le possibili cose belle vengono impedite da assai meno interessanti azioni di disturbo, che non di rado sono triviali pedate sulle caviglie. Ma diventano emozionanti e avvincenti per chi parteggia, perché non si sa mai come le cose andranno a finire, dato che tutto è organizzato per dare una mano al peggiore.

Insomma, il pregio del calcio è un’intensità emotiva e anche gladiatoria: quello che si vuole è che ci siano emozioni dovute alla violenza (perché il fallo è incoraggiato), ed emozioni per tutti dovute alla speranza di vincere anche se si gioca peggio. Il calcio più di ogni altro sport premia l’umana pulsione a parteggiare, cioè a schierarsi da una parte per motivi propri, e sperare che quella parte prevalga indipendentemente dal merito. Siamo agli antipodi dell’ideale olimpico: il calcio è molto amato proprio perché è ingiusto e indecente. La cosa a cui la gente è più interessata non è vedere un gesto tecnico perfetto, e nemmeno veder trionfare la giustizia: è molto più spettacolare l’emozione data dalla possibilità di prevalere, il pathos della partita che rimane aperta fino all’ultimo perché lo scarto è nullo e quindi in qualunque momento se la palla va in rete cambia tutto. 

Di recente una campagna pubblicitaria del Corriere dello sport ha implicitamente sottoscritto queste nostre ipotesi, presentando i momenti ritenuti di massima emozione regalati da alcuni sport più popolari. Per il tennis, era il match point, fase suprema del gioco. Per l’automobilismo erano l’ultimo giro e la criticissima sosta ai box. Per il calcio, due decisioni arbitrali: una capace di ribaltare l’intera partita, e una ingiusta.

[1] Queste considerazioni sono state già esposte, su invito, in un evento interno della Federazione Italiana Gioco Calcio, che con encomiabile sforzo non cessa di lavorare per sorvegliare e aumentare la sportività del suo sport. Chi scrive, proprio per questa posizione critica è stato cooptato fra i consulenti che partecipano ai periodici eventi dello stesso genere. 
[2] Non nell’arco di un campionato, dove la fluttuazione statistica viene compensata, e quindi la squadra forte che perde per caso una partita ne vincerà comunque molte altre. 
[3] A parte le – rarissime – ammonizioni ed espulsioni.

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